Secondo un recente studio, condotto presso il Mit e il Georgia Institute of Tecnology, la progressione della malattia di Alzheimer potrebbe essere rallentata mediante una terapia innovativa basata sull’utilizzo di un flash luminoso.
Cosa ha scoperto la nuova ricerca per la terapia sull’Alzheimer?
In particolare, la ricerca, pubblicata su Nature, si basa su un singolare esperimento nel corso del quale ratti malati di Alzheimer sono stati esposti a fasci luminosi intermittenti a diverse frequenze emessi da una luce stroboscopica: con immensa sorpresa, al termine dell’esperimento, i ricercatori hanno scoperto che la frequenza di 40 flash al secondo, tenuta fissa per 60 minuti davanti agli occhi dei ratti, determinava nella giornata successiva un miglioramento relativo alla sintomatologia della patologia ed inoltre una minore presenza nel cervello degli animali di proteine beta amiloidi che, in modo del tutto peculiare, nei casi di Alzheimer, si accumulano formando placche e compromettendo dunque la funzionalità neuronale.
Secondo Annabelle Singer, docente di ingegneria biomedica alla Georgia Tech University di Atlanta e coautrice dello studio, lo studio è partito dall’osservazione che nei topi che si ammalano di Alzheimer le onde celebrali gamma risultano estremamente deboli a partire già dal momento in cui la patologia inizia a svilupparsi, ovvero ben prima che si formino gli accumuli di placche beta amiloidi e che si presentino i disturbi della memoria, primi e principali sintomi della malattia di Alzhimer.
Cosa hanno scoperto di nuovo sull’Alzheimer i ricercatori?
Sulla base di questa osservazione, i ricercatori hanno supposto che l’eziologia dell’Alzheimer possa essere correlata ad un’anomalia nel funzionamento delle onde gamma e hanno dunque provato a stimolare queste ultime mediante impulsi di luce intermittente con risultati entusiasmanti.
La frequenza di 40 flash al secondo induce infatti i neuroni a inviare impulsi a quella stessa frequenza determinando una ridotta produzione di proteine amiloidi a livello celebrale mediante un meccanismo non noto.
Inoltre, l’esposizione alla luce migliora l’eliminazione delle placche amiloidi in quanto stimola le cellule della microglia a rimuovere una quantità di proteina amiloide maggiore rispetto alla norma.
Cosa è la malattia di Alzheimer?
L’Alzheimer è una patologia neurodegenerativa a lenta evoluzione, caratterizzata da un’anomala deposizione nel sistema nervoso centrale di due proteine, tau e amiloide: nel tempo questi depositi diventano tossici per le cellule nervose, che muoiono progressivamente.
I sintomi più evidenti sono il declino progressivo di capacità intellettive come memoria, orientamento e linguaggio, alterazioni del comportamento e perdita totale o parziale dell’autonomia.
Recenti statistiche indicano che ci sono attualmente 35,6 milioni di persone affette da demenza nel mondo. Sebbene nella grande maggioranza dei casi (75-90%) la malattia sia sporadica, esistono anche rare forme familiari di origine genetica.
I limiti dello studio
Il più grosso limite dello studio è rappresentato dal fatto che il duplice effetto dovuto all’esposizione alla luce si esplica solo in due aree cerebrali, ovvero corteccia visiva e ippocampo, benché nella malattia di Alzheimer siano coinvolte altre aree cerebrali quali amigdala, lobi frontali, parietali e temporali e tronco encefalico.
Inoltre, l’esperimento è stato condotto su un modello animale e dunque, al momento, non è noto se questa innovativa e stupefacente metodologia di cura di una patologia tanto terribile possa funzionare anche sull’uomo.
In attesa che inizi la sperimentazione sull’uomo, negli Usa col placet del ministero della salute americano, la Dott.ssa Singer ha evidenziato come probabilmente agendo sulla risincronizzazione delle onde gamma si potrà limitare la quantità di proteine amiloidi anche in aree cerebrali non correlate alla vista e per questo non raggiungibili mediante la terapia luminosa, sfruttando metodologie non invasive.