Attualmente esistono diversi tipi di cardioplegie, che si possono suddividere principalmente in due gruppi:
Durante la CEC, la mancanza di flusso sanguigno nel cuore a seguito del clampaggio dell'aorta impedisce la circolazione coronarica.
Questa mancanza di circolazione provoca sofferenza cardiaca a seguito del mancato apporto di metaboliti e può provocare un'ischemia.
Questa condizione, se prolungata nel tempo, può causare un'insufficienza contrattile del miocardio di tipo irreversibile, che rende impossibile una ripresa della sua attività.
Nel corso degli anni si è tentato di trovare diverse soluzioni a questo problema e sono state perfezionate varie tecniche, fino ad arrivare alla all'attuale utilizzo di soluzioni cardioplegiche per la protezione del miocardio.
Il primo a realizzare un bypass totale cardiopolmonare (con la sopravvivenza dell'animale usato per l'esperimento) fu Gibbon nel 1937.
Gibbon si servì di pompe arteriose e utilizzò come ossigenatore un sistema a reti di metallo.
Allo stesso Gibbon, nel 1953, si deve il primo utilizzo di un bypass cardiopolmonare su una donna di giovane età.
Prima dell'utilizzo della cardioplegia in cardiochirurgia venivano adottate diverse metodiche.
Nonostante le numerose scoperte avvenute a partire dagli anni Cinquanta, e i notevoli progressi fatti nel campo della cardiochirurgia a cuore aperto, le metodiche utilizzate comportavano ancora alcuni problemi come, per esempio:
Questi problemi rendevano più complessa la chirurgia cardiaca e facevano conseguentemente aumentare il tasso di mortalità.
Quando venne focalizzato il problema principale della cardiochirurgia a cuore aperto, si capì che era essenziale riuscire ad arrestare il cuore in diastole, consentendo un abbassamento della temperatura al fine di alterare il metabolismo; questo processo consente di preservare le scorte di energia e rende più facile la ripresa alla fine dell'arresto indotto.
La scoperta di questo processo avvenne nel 1955 ad opera di Melrose, con la cosiddetta cardioplegia chimica. A Bretshneider, nello stesso periodo, si deve invece la cardioplegia farmacologica.
Da allora, in caso di circolazione extracorporea iniziò quindi a essere adottato il concetto di “pretrattamento” del muscolo cardiaco. L'obiettivo è quello di aumentare o modificare il metabolismo del cuore, per consentirgli di resistere meglio all'ischemia, servendosi di soluzioni ioniche.