La sindrome della cuffia dei rotatori è una malattia che interessa la cuffia dei rotatori ovvero un gruppo di tendini che stabilizzano e permettono il movimento della spalla.
I muscoli colpiti dalla sindrome della cuffia dei rotatori sono:
Ognuno di questi muscoli ha un compito preciso e muove l’articolazione in un determinato modo, la loro sinergia permette tutti i movimenti del braccio (e quindi della spalla): una combinazione di extrarotatori, intrarotatori, elevatori, abduttori ed adduttori.
Nel complesso determinano il movimento completo del braccio, così che si possa portare la mano in qualunque posizione nello spazio.
Non permettono solo il movimento della spalla, ma la stabilizzano, agendo da stabilizzatori attivi, nel senso che con il loro movimento consente alla spalla di rimanere ben centrata e quindi di funzionare nel migliore dei modi.
Diverse e molteplici possono essere le cause della patologia a carico della cuffia dei rotatori, ma le più frequenti sono l’usura nel tempo (soprattutto per sport che prevedano il movimento del braccio al di sopra della testa o in lavori ad alta richiesta funzionale) o dei traumatismi (soprattutto in distrazione con il braccio lontano dal corpo).
Vi possono essere altre cause o concause come patologie sistemiche o metaboliche (per esempio il diabete) il tabagismo, l’alcolismo o malformazioni della nascita. Particolare menzione deve essere fatta alla conformazione dell’acromion, un osso che è posto come un tetto rispetto ai tendini, sotto cui scorrono, e che se presenta delle calcificazioni, degli osteofiti o una conformazione anatomica particolare (lo “spur”) può determinare una progressiva lesione dei tendini che gli scorrono al di sotto, per semplice frizione o attrito.
Altre condizioni del braccio (come una diminuzione del tono del bicipite brachiale, o disfunzioni nervose) possono portare ad una diminuzione dello spazio di scorrimento e quindi ad un aumento dell’attrito e quindi del consumo dei tendini della cuffia dei rotatori.
Anche deformazioni della colonna cervico dorsale (scoliosi, cifosi ecc. ecc.) possono comportare la stessa diminuzione dello spazio subacromiale (“al di sotto dell’acromion”).
I sintomi sono proporzionali al grado di lesione ed ovviamente alla causa del problema (trauma o usura). In generale comunque il dolore, l’eventuale bruciore, e l’impotenza funzionale la fanno da padrona.
Tipico è il dolore notturno, che può portare anche al risveglio durante la notte. Il dolore ha una sua evoluzione naturale che può durare anche degli anni se non trattato, ma in generale tende ad aumentare e quindi ad aumentare il deficit funzionale.
Le lesioni possono essere varie e possono andare da una semplice infiammazione ad una lacerazione parziale, da un assottigliamento dei tendini ad una lesione completa sino ad una lesione massiva (che interessa più tendini contemporaneamente) o ad un interessamento muscolare (retrazione del ventre muscolare da non uso).
Tutte queste lesioni possono avere indipendentemente una causa traumatica o meno.
All’interno delle lesioni complete, poi si possono riconoscere diversi tipi di lesione, che descrivono sostanzialmente la forma della lesione stessa.
La patologia della cuffia dei rotatori può essere riconosciuta dallo specialista durante la visita specialistica: la raccolta delle informazioni sul dolore e specifici test possono orientare verso una diagnosi di interessamento di questa struttura anatomica.
Eventuali accertamenti potranno confermare o confutare tale ipotesi diagnostica, e tra questi soprattutto la risonanza magnetica e/o l’ecografia. Eventualmente anche la tomografia computerizzata o la risonanza con contrasto possono essere d’aiuto.
Con queste strumentazioni sarà possibile vedere la lesione ed essere certi della diagnosi.
In caso di ulteriore dubbio è anche possibile fare un'artroscopia diagnostica, ma solitamente tale intervento chirurgico viene associato al trattamento, nel senso che, a seguito di accordi con il paziente e suo consenso, in caso di dubbio si inizia l’intervento “osservando” tutte le strutture anatomiche e, in caso di conferma della lesione, si procede alla riparazione o al trattamento previsto.
Innanzitutto bisogna trovare la causa del problema e capire se si tratta di una lesione o una tendinite, di una lesione massiva o di una lesione parziale. Ad ogni lesione si può applicare una strategia terapeutica differente.
Sostanzialmente si possono ipotizzare due tipi di trattamento:
Nel primo caso si possono annoverare la fisioterapia, la riabilitazione, l’utilizzo di trattamenti strumentali, l’uso di farmaci o le infiltrazioni intrarticolari.
Nel secondo caso si tratta di interventi chirurgici di varia natura e tecniche differenti. Si possono utilizzare tecniche chirurgiche artroscopiche (piccole incisioni attraverso cui far passare piccole telecamere ad alta definizione e piccoli strumenti chirurgici) o artrotomiche (le classiche incisioni chirurgiche più grandi). Solo per avere un elenco di riferimento, si possono avere tecniche che prevedono:
Salvo particolari casi (come nel caso di lesioni massive, retrazioni muscolari, lesioni traumatiche), nessuno di questi trattamenti è “assoluto” ed esclusivo, nel senso che ogni strategia terapeutica può essere efficace su un particolare obiettivo da perseguire: solo una corretta informazione può portare al migliore trattamento per quel determinato paziente e solo per quel paziente, perchè ogni persona è diversa dall’altra ed ogni persona ha una esigenza funzionale personale.
Certo è che se l’obiettivo è la riparazione tendinea, l’alternativa chirurgica è l’unica possibilità.
La prognosi dipende dal tipo di percorso terapeutico deciso e soprattutto dal tipo di lesione ( e quindi sull’appropriatezza della prescrizione).
In caso di trattamento conservativo il tempo necessario può variare da qualche settimana a diversi mesi (se non anni).
In caso di trattamento infiltrativo (una o più infiltrazioni a seconda del farmaco da utilizzare), un ciclo può essere efficace dai 6-9 mesi sino a diversi anni.
In caso di intervento chirurgico molto dipende dalla tecnica chirurgica adottata e dal protocollo riabilitativo previsto (che può essere differente da chirurgo a chirurgo).
In caso di artroscopia, solitamente, la ripresa funzionale autonoma che consenta le attività di una vita di tutti i giorni si può raggiungere tra i 2 ed i 4 mesi, mentre per le attività sportive non prima dei 6 mesi.
In caso di protesizzazione, un tempo minimo di 2-3 mesi consentirà la maggior parte dei movimenti.
Tutti gli interventi chirurgici prevedono dei periodi di utilizzo di specifici tutori e dei periodi (più o meno precoci, anche 2 giorni dopo l’intervento) di fisioterapia e riabilitazione articolare.