La Montagnaterapia rappresenta un approccio terapeutico innovativo che unisce i benefici della natura a quelli della medicina, della psicologia e della riabilitazione. Conosciuta per favorire il benessere psico-fisico, questa terapia sfrutta la potenza rigenerativa dell'ambiente montano, che contribuisce a stimolare la resilienza, migliorare la gestione dello stress e rafforzare la consapevolezza di sé.
Grazie al coinvolgimento attivo nella natura, la Montagnaterapia promuove un percorso di crescita e cambiamento, integrandosi in modo complementare a trattamenti terapeutici e riabilitativi più ampi. L'obiettivo è scoprire come il contatto con la montagna possa divenire un alleato nella costruzione di un equilibrio psico-emotivo e fisico duraturo.
Ne abbiamo parlato con a Dr.ssa Fiorella Lanfranchi, psicologa, psicoterapeuta e Vice presidente della SIMonT (Società Italiana di Montagnaterapia) approfondendo il tema sotto diversi aspetti.
La dottoressa ci ha spiegato come le attività di Montagnaterapia, vengano realizzate nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale o in contesti socio-sanitari accreditati, spesso in collaborazione con il CAI (Club Alpino Italiano) creando quindi un’importante rete di supporto per i pazienti.
Ecco le domande che le abbiamo posto.
Come nasce il progetto della Montagnaterapia?
I primi progetti di Montagnaterapia nascono in Europa negli anni ’80. All’epoca il gruppo belga “La trace” propose spedizioni in alta montagna e attività di arrampicata a giovani con problemi di tossicodipendenza.
La filosofia da cui nasceva questo progetto era di utilizzare uno sport avventura, anche estremo, quale sostituto al consumo di sostanze: “una cosa che occupa la testa” e che genera emozioni forti, oltre ad una rottura con l’ambiente del partecipante.
In Italia le prime esperienze note risalgono all’inizio degli anni Novanta. Pionieri sono stati la comunità ARCA di Como in collaborazione con Alpiteam (area Tossicodipendenza), il Centro Psico Sociale di Piario (Bg), in Val Seriana insieme al CAI di Clusone, la Fondazione Bosis insieme al CAI Bergamo, la Comunità Montesanto di Roma (area salute mentale) e l’ASL RM1 (Ospedale S. Spirito- area cardiologica).
Negli anni duemila nasce la rete Italiana di Montagnaterapia, con definizione delle Macrozone geografiche (corrispondenti ad una o più regioni), ognuna con un referente, che si riunisce periodicamente ed organizza un congresso nazionale annuale, convegni ed iniziative locali.
Le attività di Montagnaterapia vengono progettate ed attuate nell'ambito del Servizio Sanitario Nazionale, o in contesti socio-sanitari accreditati, spesso con la collaborazione del Club Alpino Italiano e di altri Enti o Associazioni (accreditate) del settore.
Quali sono i benefici della Montagnaterapia, all'interno di un percorso terapeutico-riabilitativo più ampio?
La Montagnaterapia mira a favorire un incremento della salute e del benessere generale e, conseguentemente, un miglioramento della qualità della vita, di persone con varie problematiche, patologie o disabilità. Essa va ad integrare gli eventuali trattamenti medici, psicologici e/o socio-educativi già in atto, promuovendo quei processi evolutivi legati alle dimensioni potenzialmente trasformative della montagna.
Ad esempio, i progetti di Montagnaterapia che ho coordinato nel Dipartimento di Salute Mentale della Val Seriana (ASST Bergamo Est) hanno aiutato molti pazienti ad uscire dall’isolamento, a sconfiggere la solitudine e ad affrontare la sofferenza senza vergogna, combattendo la stigmatizzazione ed emarginazione che aggravano la vulnerabilità dei malati.
Osservazioni condivise dai gruppi dell’area psichiatrica sono le seguenti: riduzione dei sintomi psicopatologici, tra cui i sintomi di depressione, psicosi e demenza, riduzione efficace dell’ansia, aumento di emozioni positive, miglioramenti sul piano corporeo, sul funzionamento sociale e lavorativo, in alcuni casi riduzione dei ricoveri.
Quali figure professionali collaborano per rendere efficace questo approccio terapeutico?
La Montagnaterapia è una attività sociosanitaria ed educativa, ed ha quindi bisogno di competenze sociosanitarie ed educative. Dei team di Montagnaterapia fanno parte psicologi, medici, educatori professionali, terapisti della riabilitazione ed infermieri.
Gli esperti della relazione di aiuto collaborano con gli esperti della montagna (guide alpine, istruttori e/o volontari del CAI, ecc.) che apportano le indispensabili conoscenze ed esperienze tecniche sulle attività in montagna.
A chi si rivolge in particolare la Montagnaterapia?
Molto schematicamente e in maniera non del tutto esaustiva, possiamo dire che attualmente siamo a conoscenza di esperienze che operano in molte aree.
La maggior parte di tali esperienze si ritrovano in ambito principalmente sanitario. Oggi in Italia i gruppi impegnati nell’area della salute mentale sono i più numerosi, ma appaiono altrettanto importanti le esperienze dei gruppi che si inseriscono in percorsi riabilitativi per le dipendenze, così come quelle (con maggior connotati educativo/pedagogici) nati nell’ambito della disabilità psico-fisica.
Con caratteristiche ancora diverse sono nati in Italia molti percorsi per persone ipo o non-vedenti, quindi centrati sulla dimensione “sensoriale” della propria esperienza. E sempre nell’ambito sanitario si trovano quei gruppi che si muovono nella riabilitazione cardiologica o in particolari settori quali quelli della cura delle patologie dell’occhio, della patologia diabetica, oncologica ed ortopedica.
Se gli interventi in ambito principalmente sanitario sono di certo i più numerosi, da alcuni anni stanno venendo alla luce nuove e suggestive sperimentazioni in campo sociale, rivolte a gruppi di “adolescenti problematici” o più generalmente utilizzate per favorire una migliore integrazione sociale (ad es. esperienze rivolte ad immigrati ed extra comunitari).
Quali indicatori clinici o psicologici vengono utilizzati per valutare i progressi dei pazienti?
Ogni attività sociosanitaria ed educativa implica la tenuta di una adeguata documentazione che costituisce la base dati per costruire gli indicatori, che sono diversificati a seconda delle aree di intervento e dei progetti individualizzati.
Per ogni paziente viene tenuta ed aggiornata una scheda clinico/assistenziale/educativa. Tra gli indicatori clinici di progressi dei pazienti troviamo la riduzione di ricovero ospedaliero e/o residenziale o la riduzione dei dosaggi farmacologici, tra gli indicatori di tipo psicopedagogico, la capacità di cooperare in gruppo e l’incremento dell'autostima, tra gli indicatori di soddisfazione vi sono i feedback positivi di utenti e familiari.
Riporto in maniera più dettagliata, a titolo d’esempio, lo studio effettuato relativamente al progetto “A spasso con Luisa sulle Orobie bergamasche”, nato nel 2014 come estensione del protocollo di ricerca "Trapianto e adesso sport" promosso dal Centro Nazionale Trapianti, in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità e con il Ministero della Salute.
I soggetti che hanno svolto questa esperienza sono stati sottoposti ad una serie di esami pre e post attività, tra cui: Esame Antropometrico, Plicometria, Handgrip, CPET + misura lattati, valutazione dinamometrica.
I risultati della ricerca confermano un trend di miglioramento: tendenza alla diminuzione del BMI e della MG, miglioramento del metabolismo aerobico e dell’efficienza del sistema cardiorespiratorio, del rendimento meccanico e della percezione di benessere psico-fisico, nessun evento avverso o trauma.
Ricordo inoltre che nel 2019 è nata la SIMonT (Società Italiana di Montagnaterapia) che si propone di promuove la qualità dei progetti di Montagnaterapia. In particolare si prefigge di svolgere ricerca qualificata sui benefici della Montagnaterapia. In questi anni ha prodotto documenti professionali sulle buone pratiche e attività di formazione. Ha inoltre pubblicato un libro specifico sull’argomento, per chi fosse interessato, dal titolo “Montagnaterapia", edito da Erikson.