La depressione, un disturbo del tono dell'umore che colpisce milioni di persone in tutto il mondo, rappresenta una sfida complessa da affrontare.
Da anni la ricerca cerca di comprenderne le cause e sviluppare trattamenti efficaci e un nuovo studio rivoluzionario apre la strada a un approccio personalizzato alla cura, basato su sei distinti "biotipi" cerebrali.
Vediamo di cosa si tratta.
Depressione: quali sono i dati relativi all’incidenza
In Italia, i dati sulla depressione tracciano un quadro preoccupante: circa il 6% degli adulti lamenta sintomi depressivi, una percentuale che sale al 9% tra gli anziani e al 12% tra chi soffre di malattie croniche. Le donne sono più colpite degli uomini (rispettivamente 8% contro 5,8%).
Tra le conseguenze più gravi vi è il suicidio, che rappresenta la principale causa di morte tra i giovani italiani tra i 15 e i 29 anni.
A livello globale, la depressione rappresenta un problema di portata immensa, che colpisce circa il 4,4% della popolazione, ovvero circa 300 milioni di persone.
Le donne, come emerso dai dati italiani, risultano essere più colpite rispetto agli uomini, con una prevalenza che oscilla tra il 4,6% ed il 5,9% per le donne contro il 2,6% ed il 3,6% per gli uomini.
Purtroppo, la pandemia da COVID-19 ha avuto un impatto importante sulla salute mentale, causando un aumento del 28% dei casi di depressione maggiore nel 2020, con ben 53 milioni di casi in più rispetto all'anno precedente; un dato allarmante che si estende anche ai disturbi d'ansia, con un incremento del 26% e 76 milioni di nuovi casi.
Nonostante la gravità della situazione, solo una persona su tre affetta da depressione nel mondo riceve un trattamento adeguato. Questo divario è ancora più ampio nei paesi a basso e medio reddito, dove lo stigma associato alle malattie mentali rappresenta un ostacolo significativo all'accesso alle cure.
La scoperta dei sei biotipi
Una nuova ricerca della UT Southwestern suggerisce che un terzo dei pazienti ambulatoriali che cercano aiuto potrebbe avere una forma di depressione resistente ai trattamenti tradizionali.
Se pensiamo che negli Stati Uniti circa 1 adulto su 5 soffre di depressione maggiore nel corso della vita, con una prevalenza nell'ultimo anno che oscilla tra il 5% ed il 7%, i numeri sono davvero preoccupanti: milioni di persone potrebbero trovarsi ad affrontare una depressione che non risponde ai trattamenti standard.
Dunque, i ricercatori vogliono capire meglio i diversi tipi di depressione per poter fornire a ciascun individuo la terapia più efficace, un passo importante verso la sconfitta di questa malattia invalidante che colpisce così tante persone.
Lo studio, pubblicato su Nature Medicine, che ha coinvolto 801 partecipanti con depressione e ansia, ha utilizzato la fMRI per scansionare il cervello dei partecipanti sia a riposo che durante l'esecuzione di test di funzionamento cognitivo ed emotivo.
Utilizzando un algoritmo di apprendimento automatico, i ricercatori hanno analizzato i dati delle scansioni cerebrali e identificato sei modelli di attività cerebrale distinti.
Ogni modello rappresentava un sottotipo di depressione con caratteristiche uniche di connettività e attività in diverse regioni cerebrali, collegate a funzioni come la risoluzione dei problemi, l'umore e la regolazione emotiva.
I sottotipi sono stati etichettati da C1 a C6, con la "C" che sta per connettività e la "A" per attività; i simboli più e meno indicavano se la disfunzione nel circuito cerebrale causava un aumento o una diminuzione dell'attività.
In un'ulteriore fase dello studio, i ricercatori si sono concentrati su un sottogruppo di 250 partecipanti per esaminare come diversi biotipi cerebrali rispondevano a differenti trattamenti.
I partecipanti sono stati assegnati in modo casuale a uno dei tre antidepressivi o alla terapia della parola e, come previsto dai ricercatori, i risultati hanno evidenziato che la risposta al trattamento variava significativamente tra i diversi biotipi.
Ad esempio, un biotipo caratterizzato da un'elevata attività tra le regioni cerebrali legate alla risoluzione dei problemi e alla regolazione dell'umore ha mostrato una risposta migliore alla terapia della parola; al contrario, un altro biotipo con iperattività nelle aree cognitive del cervello ha beneficiato maggiormente dalla venlafaxina, un antidepressivo comune.
Quali sono le conseguenze di questo studio?
Questa ricerca rappresenta un passo importante verso la comprensione della sfaccettata natura della depressione: i risultati suggeriscono che la depressione non è una condizione unitaria, ma piuttosto un insieme di disturbi con caratteristiche cerebrali distinte.
La comprensione dei biotipi cerebrali, dunque, potrebbe migliorare la diagnosi della depressione, permettendo di identificare con maggior precisione in quale dei sei rientra il paziente.
Di conseguenza, l'approccio alla medicina personalizzata basato su questo modello potrebbe portare a un miglioramento dei tassi di risposta al trattamento e, di conseguenza, a una migliore prognosi per le persone affette da depressione.
La psichiatra e ricercatrice Mirela Loftus ha spiegato a Healthline in che modo questi risultati potrebbero influenzare la diagnosi nel concreto: "Fino a poco tempo fa, se un paziente mi chiedeva di poter fare un test o una scansione cerebrale per diagnosticare un disturbo mentale, la mia risposta era invariabilmente: 'Sappiamo che alcune parti del cervello funzionano in modo diverso in certi disturbi confrontando i risultati medi dei pazienti diagnosticati con quel disturbo con i risultati medi dei soggetti sani. Tuttavia, non esiste un test specifico per diagnosticare il tuo caso individuale'", ha affermato Loftus. "Grazie ai dati emersi da questo studio", ha proseguito, "la mia risposta dovrà cambiare. Gli autori non solo stanno identificando diversi biotipi basati su sei circuiti cerebrali di interesse, ma stanno anche fornendo a ogni persona dei risultati su misura."
Infatti, come evidenziato sempre più spesso per quanto riguarda la salute femminile e lo sviluppo di una ricerca scientifica sempre più orientata verso le differenze di genere, anche la salute mentale necessita di un punto di vista di più ampio respiro, che superi studi medici datati e troppo poco legati alla specificità delle singole persone.
"Questo studio rappresenta la prima dimostrazione che la depressione può essere spiegata da diverse alterazioni del funzionamento cerebrale. [...] L'obiettivo del nostro lavoro è capire come possiamo ottenere il risultato giusto fin dal primo tentativo. È davvero frustrante lavorare nel campo della depressione e non avere un'alternativa migliore a questo approccio 'taglia unica'", ha affermato la dottoressa Leanne Williams, autrice senior dello studio e direttrice del Center for Precision Mental Health and Wellness presso la Stanford University School of Medicine.