In studio con il guru: Massimo Simion ci spiega tutto sull'implantologia
Dr. Massimo SimionQuali sono i principali pro e contro di questa tecnica?
Dobbiamo considerare inanzitutto che l'implantologia è una metodica estremamente affidabile: da quasi 30 anni ci occupiamo degli impianti osteointegrati grazie agli studi del prof. Branemark che nel 1980 ha lanciato questa nuova tecnica, trasformando l'implantologia in una scienza basata molto più sulla ricerca e sui dati scientifici rispetto a prima. Prima l'implantologia veniva considerata la pecora nera dell'odontoiatria mentre dal 1980 è diventata veramente un fiore all'occhiello per i dentisti. Abbiamo avuto quindi questa metodica estremamente affidabile per tantissimi anni e abbiamo trattato una grande quantità di pazienti con tantissimo successo. Solo ultimamente sono cambiate un po' le cose, abbiamo cercato delle tecniche un pochino piu aggressive, delle superfici più ruvide e quindi abbiamo incominciato ad avere qualche problema in più. Problemi che devono essere gestiti per ritportare la tecnica dell'implantologia all'affidabilità di un tempo.
I pro sono quelli di una tecnica che permette di riabilitare una grande quantità di pazienti che hanno perso la loro dentatura naturale con delle protesi fisse e quindi eliminare le cosidette protesi totali, le dentiere o le protesi rimovibili come gli scheletrati, ridando anche un'estetica nella maggior parte dei casi molto buona.
I contro sono che il paziente che attualmente viene trattato con impianti deve essere considerato come un paziente a rischio di infezioni dei tessuti perimplantari e quindi deve seguire delle tecniche di pulizia e di igene orale molto attente e deve essere sottoposto a dei controlli periodici.
Questa infezione, detta perimplantite, quindi cos'è? Quali cause ha?
La perimplantite di cui si è parlato tantissimo negli ultimi 5-6 anni è una malattia infiammatoria provocata dai batteri che, proprio come si depositano sui denti naturali, così si depositano anche sui denti che sono supportati dagli impianti. Questi batteri provocano un'infezione dei tessuti molli e duri perimplantari che portano a una retrazione progressiva dell'osso fino al punto che l'impianto viene espulso, non è più stabile e deve essere estratto. La causa primaria, quindi, sono i batteri che dobbiamo combattere per cercare di prevenire le perimplantiti.
Un tipo di complicanza molto diversa quindi da quella di cui i pazienti sono più timorosi, come il famigerato rigetto?
Sicuramente. Un tempo si parlava di rigetto, anche se in realtà rigetto non era, perché il rigetto è una risposta immunitaria nei confronti di un corpo estraneo, cosa che in realtà per gli impianti che sono di titanio puro non avviene. L'osteointegrazione con gli impianti che utilizziamo negli ultimi 30 anni avviene in percentuali altissime, 95-96-98% a secondo della situazioni, quindi possiamo dire che il rigetto non avviene.
La perimplantite è un qualcosa di diverso: si manifesta in genere dopo un periodo di 5-7 , a volte anche 8-9 anni in cui l'impianto ha funzionato correttamente senza alcun problema. A un certo punto si attivano dei batteri sulla superficie dell'impianto che progressivamente portano a questa perdita di ossa e quindi anche a un danno biologico a livello mascellare e della mandibola del paziente.
Esistono dei trattamenti efficaci per le perimplantiti a tutt'oggi?
Il trattamento migliore è la prevenzione, perchè una volta che una perimplantite su una superficie di un impianto, soprattutto se è ruvida, si è instaurata, diventa veramente difficile curarla. Il trattamento è quello di fare un piccolo intervento, andare a scoprire la superficie dell'impianto, rimuovere tutti i batteri ma anche lisciare completamente la superficie, trasformando la superficie ruvida sulla quale i batteri possono aderire in modo molto efficace, in una superficie liscia che invece presenta possibilità di adesione dei batteri molto inferiore. Un trattamento che però è efficace solo in una percentuale abbastanza ridotta, si parla di un 50% dei casi che possono essere trattati in modo efficace.
E quindi il modo di prevenirlo: cosa può fare il paziente per prevenire questi problemi?
Il paziente deve essere consapevole di essere un paziente a rischio, soprattutto per gli impianti che sono stati posizionati negli ultimi 10-12 anni e quindi con delle superfici ruvide. Deve quindi seguire dei protocolli di pulizia domiciliare molto molto stretti, quindi deve pulire i denti a casa molto bene con delle tecniche estremamente precise, e deve andare a dei controlli periodici che vanno dai 3 ai 6 mesi. Soprattutto i pazienti a rischio, come i pazienti fumatori o che hanno dei problemi di salute come i diabetici, devono essere visti molto frequentemente, soprattutto quelli che presentano naturalmente la malattia paradontale, quella che veniva chiamata una volta piorrea, quelli sono i pazienti più a rischio perchè come si ammalano di parodontite i denti naturali, così si ammalano molto frequentemente di perimplantite gli impianti che sono stati posizionati.
Parlavi di superficie: un altro modo per prevenire questo tipo di problemi a livello tecnico, quindi di scelte di materiali di impianti, quale può essere?
Quello che noi abbiamo visto nella storia trentennale degli impianti osteointegrati è stato che fino a una decina di anni fa, quando usavamo delle superifici lisce che non venivano irruvidite con delle tecniche addizionali (quindi le superifici dell'impianto erano filettate con una vite ma lisce) le perimplantite erano veramente una rarità, un caso eccezionale. Da quando negli anni 2000 abbiamo iniziato a usare delle superfici ruvide, le perimplantiti sono diventate sempre più frequenti. Quindi a mio avviso è auspicabile il ritorno agli impianti che presentano delle superfici lisce, che sono estremamente più sicure. Consiglio quindi sia ai pazienti che ai colleghi di scegliere degli impianti che presentano la superficie originale, proposta dal dottor Branemark, che inizialmente ha portato un grande successo. Esiste ancora e quindi orienterei la mia scelta su quel tipo di superficie.
Ma allora perché queste superfici sono andate cambiando e quali sono le scelte concrete per cui i dentisti hanno poi optato per questo tipo di superfici?
La realtà è che le aziende hanno spinto i colleghi ad utilizzare tecniche sempre più aggressive, quindi posizionare gli impianti, caricarli subito con le protesi, e così il paziente attualmente pretende nella maggior parte di casi di arrivare, togliere il dente, mettere subito l'impianto, mettere subito il dente e andare a casa in un'ora già con il dente in bocca. Per fare questo le aziende hanno spinto queste superfici ruvide che teoricamente dovrebbero avere una maggiore capacità di avere un'adesione da parte dell'osso, e quindi superfici che sarebbero più adatte a queste applicazioni off-limits, quindi carichi immediati in situazioni molto difficili. In realtà questo deve essere evitato, nel senso che un atteggiamento più prudente, con degli impianti con superfici meno trattate e più lisce, va maggiormente ricercato. Si deve ritornarne a una predicibilità delle nostre tecniche che devono essere efficaci non solo nei primi anni, ma dobbiamo garantire ai nostri pazienti (e i pazienti devono anche pretenderlo) di avere dei successi a lungo termine, come siamo stati abituati ad avere con impianti che duravano dai 10 ai 20 anni e non che inizino a dare problemi dopo 5-7 anni, come in alcuni casi sempre più frequenti sta accadendo.
Quindi possiamo consigliare ai pazienti di non pretendere tutto velocemente, ma accettare i consigli dei dentisti per far durare di più il lavoro?
Certo, bisogna dare al nostro corpo i tempi biologici adeguati per guarire. Per avere l'integrazione dell'impianto e quindi per avere l'osso che cresce a contatto con la superficie dell'impianto (la cosidetta osteo-integrazione) ci vogliono 3-4 mesi, per cui nella maggior parte dei casi è consigliabile il carico a distanza di 3-4 mesi. Solo in alcuni casi, quando troviamo un osso molto resistente, molto duro, ci si può fidare a fare un carico anche immediato, però devono essere dei casi scelti molto bene. E soprattutto non bisogna ridurre il numero degli impianti al minimo perchè meno impianti abbiamo a sostegno di una protesi, maggiore è il carico che ogni impianto deve subire quindi maggiori sono anche i rischi di sovraccarico e di fallimento di ogni singolo impianto.