L’udito è il primo dei cinque sensi che sviluppiamo in quanto esseri umani e sembrerebbe sia anche l’ultimo a lasciarci in punto di morte.
Anche se in punto di morte e incapaci di rispondere a stimoli esterni, il cervello continua a registrare suoni e parole che provengono dall’ambiente circostante.
A rivelarlo uno studio di Scientific Reports, condotto sui pazienti di un ospizio di Vancouver: il cervello dei pazienti risponderebbe a stimoli uditivi anche in punto di morte. Non è tuttavia chiaro se queste persone fossero in grado di riconoscere le voci e capire ciò che stavano sentendo.
Cosa sentiamo prima di morire: lo studio
Lo studio si è servito dell’elettroencefalogramma, uno strumento che permette di tracciare l’attività encefalica. In questo modo si è in grado di eseguire un monitoraggio dell’attività cerebrale nei pazienti in fin di vita, anche nel momento in cui non erano più coscienti. Confrontando poi questo campione con quello registrato sugli stessi pazienti quando erano coscienti si sono potute comparare i risultati ottenuti.
Più nel dettaglio, i pazienti incoscienti hanno mostrato reattività tramite segnali cerebrali noti come MMN, P3a e P3b. Queste aree si attivano quando il cervello riconosce suoni anomali presenti in una sequenza ripetitiva.
Chi è in fin di vita può capirci? Forse
MMN è una sigla che sta per Mismatch Negativity, o negatività da discordanza, e fa riferimento all’onda registrata come reazione in risposta a una sequenza di suoni con un elemento discordante. Nell’ambito uditivo, essa si verifica dopo un suono lievemente discordante rispetto alla sequenza relativamente ripetitiva.
Anche P3a e P3b sono onde registrate dall’encefalogramma, che vengono però suscitate da stimoli importanti ma poco frequenti. Solitamente esse fanno riferimento alla reazione del soggetto che tenta di categorizzare uno stimolo. Più nello specifico, P3b viene registrata in presenza di uno stimolo già noto ma raro, mentre la P3a in presenza di uno stimolo raro e nuovo.
Risulta quindi difficile determinare se tenere traccia dei vari suoni, noti o meno, significhi anche riconoscere il significato. Dunque ancora non sappiamo se la persona che sta per morire possa essere in grado di comprendere le parole che le vengono rivolte. La possibilità di categorizzare però stimoli già noti, anche se rari, non dovrebbe far perdere la speranza di rivolgere comunque parole ai propri cari. Come testimoniano anche molti infermieri e medici, non è del tutto errato pensare che i nostri cari trovino conforto nelle ultime parole che gli rivolgiamo.