Si può capire se una persona è depressa o meno da come usa il cellulare. È quanto afferma uno studio statunitense, secondo il quale il modo (e il tempo) che passiamo allo smartphone potrebbe portare luce sulle nostre probabilità di soffrire di depressione.
Lo studio
20 donne e 8 uomini le persone che hanno partecipato allo studio, con un’età media di 29 anni. Per due settimane i loro cellulari sono stati tracciati – l’obiettivo? Raccogliere questi dati:
- i minuti trascorsi al telefono;
- la posizione dei soggetti durante la giornata.
I risultati?
L’affermazione è grave, ma è sostenuta in accordo col Center for Behavioral Intervention Technologies dell’Università di Chicago. Quanto maggiore era il tempo trascorso al cellulare, tanto più era probabile che la persona in questione fosse depressa.
- Per esempio, nel gruppo di partecipanti allo studio, chi era depresso ha trascorso fino a 68 minuti al cellulare;
- di contro, chi non era depresso ha trascorso intorno ai 17 minuti al cellulare.
Ma i dati estratti dal GPS dei cellulari hanno dato anche altre informazioni. Ad esempio:
- chi è depresso tende a passare più tempo in casa o in ogni caso a spostarsi poco;
- anche chi non ha orari o ritmi regolari o comunque una routine stabile o non va al lavoro tutti i giorni alla stessa ora, è potenzialmente più incline alla depressione.
Complessivamente, i dati estratti dai telefonini sono stati precisi all’87% nell’individuare le persone che soffrivano di depressione. Lo sostengono gli autori, che ne hanno pubblicato i risultati sul Journal of Medical Internet Research il 15 luglio scorso.
Semplicemente osservando i dati di un cellulare, “noi possiamo intuire se una persona ha sintomi di depressione e anche la gravità di questi sintomi”, sostiene il prof. Mohr “senza farle nessuna altra domanda”. Di più, “i cellulari ci forniscono tutta una serie di dati senza che l’utente di quel telefonino debba in qualche modo sforzarsi di raccontarceli”.
Ma davvero basta leggere il tracciato dei nostri cellulari per capire se siamo depressi o meno? Siamo davvero così… meccanici?
Lo studio, benché piccolo, ha acceso il dibattito negli States. Non sono poche le obiezioni e le polemiche:
- ricercatori e pazienti dovrebbero stare molto attenti a fare troppo affidamento “sulla tecnologia e le auto-diagnosi” via smartphone;
- è evidente che questa tendenza a usare le app per monitorare la salute è in linea con una tendenza generale a informatizzare l’assistenza sanitaria;
- questo permette di risparmiare, e l’uso delle app può effettivamente migliorare la prevenzione dei disturbi e individuare precocemente i soggetti a rischio;
- ma la privacy delle persone va sempre protetta – e questo è problematico, se per la prevenzione della depressione si spiano i tabulati telefonici dei contribuenti.
Insomma, ci sono i pro e i contro. Va da sé che non si può negare la necessità del contatto umano tra medico e paziente, nella prevenzione così come nella cura della malattia – ma anche la necessità di un occhio umano che interpreti i dati, i sintomi.
Un algoritmo non potrà sostituire un medico – e un cellulare non potrà sostituire un paziente. Non vi pare?