SLA: dall'esordio dopo i 50 anni ai primi sintomi sino alle ultime terapie

Dr. Christian Lunetta

Ultimo aggiornamento – 04 Settembre, 2020

SLA: sintomi, cause e terapie

Intervista al dr. Christian Lunetta, neurologo e medical director dell'AISLA.


Sclerosi Laterale Amiotrofica, una grave malattia neurodegenerativa, con un esordio tardivo che cambia per sempre la vita di chi ne è colpito.

Abbiamo intervistato il dr. Christian Lunetta, neurologo, medical director dell’AISLA - Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica, da sempre in campo a sostegno dei pazienti colpiti dalla malattia e della ricerca. 

Quali sono le cause della SLA e chi sono i soggetti a rischio? A che età, solitamente, si manifestano i primi sintomi?

Questa è una delle domande più difficili, nel senso che sulle cause non c’è ancora una risposta ben chiara. 

L’ipotesi più verosimile è che nasca da una combinazione, coesistenza di fattori genetici e ambientali; questo perché il 10% dei pazienti con SLA ha una forma familiare, mentre nel 90% dei casi la malattia è sporadica

Da sempre, studiando la SLA si è cercato di comprendere la presenza di eventuali alterazioni genetiche. Effettivamente, sono state individuate un centinaio di alterazioni genetiche che, sommate insieme, spiegano il 70% delle forme familiari. Andando a sottoporre i familiari a test genetici, si è individuato dunque un gene comune alterato

Questa stessa batteria di analisi nei soggetti sporadici (senza casi in famiglia), che sono la grande maggioranza, individuano il gene alterato nel 15% dei casi circa.

Quindi, si può sostenere che le scoperte genetiche sicuramente hanno comportato un ampio chiarimento dell’origine della malattia nel paziente familiare. Ed è così che, anni fa, è partito un progetto che si chiama “Project Mine”, che ha visto la partecipazione di tutto il mondo, per andare a raccogliere dati relativi ai soggetti sporadici, per un’analisi completa del loro DNA, con l’obiettivo di individuare delle alterazioni genetiche oggi non note e che chiariscano la base genetica anche in queste forme. 

L’analisi genetica è attenta, anche perché per quanto riguarda i fattori ambientali sono maggiori le difficoltà a inquadrare le cause specifiche. Mancano delle dimostrazioni certe, sebbene vengano pubblicati studi che mettono in relazione la malattia con un fattore ambientale, poi però sconfessati da altre indagini. 

Ad oggi, quindi, si ipotizza che ci sia un ruolo dell’ambiente, ma non si può ancora dire a una persona sana di non fare qualcosa per evitare il rischio. Non ci sono indicazioni di prevenzione.

Un dato sempre costante è l’età relativa all’incidenza che nella maggioranza dei casi è compresa tra i 50 e i 70 anni. Questo dimostra che l’età rappresenta un fattore di rischio per la malattia e, pertanto, che è necessario un certo lasso di tempo per la genesi di un danno che poi si manifesta in quella fascia di età.

Anche le forme familiari, per quanto possano avere un esordio anticipato, tendono a manifestarsi dopo i 50, 60 anni. 

Si capisce, dunque, come la malattia in passato poteva sembrare meno frequente, mentre oggi non è così in quanto la qualità della cure sanitarie ha provocato un allungamento dell’età media delle persone. 

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Come esordisce la SLA, quali sono i sintomi iniziali? Cosa si intende con SLA bulbare?

La SLA quando inizia, inizia in maniera definita. Cioè, tendenzialmente, si manifesta in un’area circoscritta del corpo ed ecco perché noi possiamo distinguere due forme di SLA: 

  1. quando è colpita la zona della bocca e, quindi, tutto ciò che riguarda la parola e la deglutizione, chiamata “ad esordio bulbare”; 
  2. quando è colpito un punto del corpo dal collo in giù, gli arti, con difficoltà a stringere oggetti, a girare le chiavi, o ancora un piede, con difficoltà a camminare, chiamata “ad esordio spinale”.

Dopo l’esordio, la patologia tende a diffondersi, seguendo tendenzialmente una modalità caratterizzata, in molti casi, da interessamento di regioni contigue, come una sorta di incendio che va a interessare zone in prossimità del punto di inizio ad es. le dita, poi la mano, poi il braccio, o il piede e poi la gamba, ecc. ecc. Comunque, la malattia si presenta in modo particolarmente eterogeneo dei diversi pazienti ed è per questo che è necessario eseguire delle valutazioni periodiche in modo da poter personalizzare l’assistenza caso per caso.

SLA: è possibile una diagnosi precoce?

In molti casi non è difficile fare una diagnosi, in particolare in presenza di sintomi tipici e dati elettromiografici eclatanti e distintivi. Il problema di fondo è l’inizio subdolo e circoscritto che, spesso, non porta il paziente ad andare immediatamente dal neurologo. 

Ad esempio, pensiamo a una persona con un disturbo dell’articolazione delle parole che va dal dentista o dall’otorino, o il paziente con esordio all’arto inferiore o alla mano che va dall’ortopedico o il neurochirurgo. Fortunatamente, sempre più frequentemente gli specialisti comprendono che non è un disturbo di loro competenza e rimandano al neurologo. 

L’esordio bulbare tende a essere individuato prima rispetto a un esordio che colpisce gli arti. Con la risonanza, a volte, emergono discopatie o altro che distolgono l’attenzione dalla SLA, con un conseguente ritardo diagnostico o esponendo il paziente a interventi inutili e col rischio di ulteriori complicanze. 

Con una visita neurologica, invece, non è difficile individuare determinate caratteristiche obiettive, anche per lo specialista che non si occupa di SLA. Certo, può esserci la commistione di altri disturbi che possono “sporcare” il quadro diagnostico, ma sono percentuali contenute. 

L’elettromiografia in molti casi dà risposte precise e poi si va per esclusione di altri disturbi. 

A quali valori dell'emocromo prestare attenzione, quando si parla di SLA?  

L’emocromo non è un esame che si altera nei pazienti con SLA. 

Cellule staminali cerebrali per la SLA: a che punto sono le sperimentazioni?

Si parla di cellule staminali da tantissimi anni, decenni. Ovvio che l’idea del “pezzo di ricambio” è un’idea che piace a tutti e viene considerata coma la soluzione. 

Ciò che rende difficile questo concetto è, però, il fatto che il sistema nervoso è un groviglio intricato di connessioni e, quindi, le staminali sono più facili da impiegare laddove devono costruire un “pavimento”, come nel caso della cornea, la cartilagine, la pelle, o un qualcosa di non strutturato come il sangue. 

Diverso è il sistema nervoso, struttura non semplice né tantomeno monostrato. In questo caso, la staminale potrebbe risultare meno potente. Se pensiamo alla SLA, il processo degenerativo comprende tante popolazioni neuronali, anche distanti tra loro. Anche se poi ci limitiamo al mondo del motoneurone, dobbiamo considerare questa come una cellula estremamente lunga; facciamo l’esempio del motoneurone che fa muovere l’indice. C’è una prima cellula che parte dalla corteccia, ovvero dalla sommità del capo e arriva al collo (20 cm di cellula) e un altro tipo di cellula che parte dal collo e arriva al muscolo. Quindi piazzare le cellule staminali non è semplice: dovrebbero esserci delle “guide” in questi percorsi così lunghi e, parallelamente, lottare contro il tempo, essendoci un processo neurodegenerativo che va avanti. 

Dobbiamo poi ricordare che la SLA non colpisce solo le cellule neurali, ma anche quelle “di contorno”, ovvero cellule non nervose che sostengono il motoneurone stesso. 

Quindi, parlare di terapie con staminali è molto difficile e l’obiettivo del successo non è vicino in questo ambito. 

Qual è il messaggio di speranza?

Vanno considerati i progetti sperimentali mirati alla correzione delle alterazioni genetiche, laddove sono individuate nel paziente. 

La sperimentazione su pazienti positivi ai geni responsabili della SLA, in particolare SOD1, è in Fase 3; lo studio di Fase 2 ha dimostrato che i pazienti trattati hanno un netto rallentamento del decorso della malattia. Si tratta di un risultato evidente. 

Ci sono poi tantissime sperimentazioni che si focalizzano sul motoneurone e su tutto il resto dell’ecosistema che si altera, influendo sulle neurodegenerazione, o sul processo infiammatorio del sistema nervoso. 

Agendo sull’ecosistema si potrebbe limitare la progressione della SLA

Dr. Christian Lunetta
Scritto da Dr. Christian Lunetta

Dr. Christian Lunetta, neurologo e medical director dell'AISLA.

a cura di Dr.ssa Elisabetta Ciccolella
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