La pressione arteriosa è la forza che il sangue esercita sulle pareti delle arterie per effetto della spinta del cuore. È grazie a questa forza se gli organi e i tessuti vengono ossigenati e nutriti.
Tuttavia, essi ne possono anche essere danneggiati, laddove tale forza sia troppo elevata. Infatti, la pressione arteriosa sopra la norma – definita ipertensione arteriosa – rappresenta uno dei primi fattori di rischio di danno d’organo. Il rene è uno dei bersagli dell’ipertensione arteriosa, che può infatti condurre allo sviluppo di malattia renale cronica. Al tempo stesso, però, è la malattia renale che può contribuire allo sviluppo di ipertensione arteriosa, alimentando un pericoloso circolo vizioso che moltiplica le potenzialità dannose della pressione elevata su altri tessuti bersaglio.
Ma quali sono i meccanismi che intrecciano i destini di ipertensione arteriosa e nefropatia?
L’ipertensione arteriosa, se non trattata, danneggia lentamente e inesorabilmente l’integrità delle arterie, le cui pareti si ispessiscono e si irrigidiscono, così compromettendo il normale apporto di sangue a tessuti e organi, incluso il rene. La sofferenza da ridotta perfusione si traduce in cicatrici che si sostituiscono al tessuto funzionante, rendendo il rene incapace di svolgere le proprie funzioni. Sono così danneggiate le microscopiche arteriole che realizzano il prezioso, delicato filtro per le scorie destinate a essere eliminate attraverso le urine: non potendo essere efficacemente rimosse, queste ultime si accumulano in circolo.
Viene compromessa la capacità del rene di gestire i flussi di sodio e acqua, con conseguente sovraccarico idrico, e gli scambi di potassio, con rischio di aritmie. L’equilibrio di minerali importanti per la salute dell’osso, quali calcio, fosforo e magnesio, è altresì minacciato anche per effetto della ridotta attivazione della vitamina D, che normalmente si completa a livello renale. Anche la fisiologica produzione di globuli rossi, a cui il rene normalmente partecipa, risulta infine compromessa, con conseguente anemia, che obbliga il cuore a lavorare di più per garantire una sufficiente ossigenazione dei tessuti.
La malattia renale, a sua volta, può indurre lo sviluppo di ipertensione arteriosa, turbando il buon funzionamento dei sistemi ormonali che regolano le variazioni del calibro vascolare, quali il sistema renina-angiotensina-aldosterone. Ne consegue un eccesso di vasocostrizione e di ritenzione di sodio e di acqua che, riducendo lo spazio a disposizione per la volemia ed espandendo il volume sanguigno, rispettivamente, ne aumentano la spinta sulle pareti arteriose. L’incapacità stessa del rene a gestire i flussi di sodio e acqua determina sovraccarico idrico e ipertensione arteriosa.
L’insidia nascosta nel pericoloso legame tra queste due condizioni dipende, in parte, dalla scarsità di sintomi che le accompagnano, rendendole poco riconoscibili, soprattutto in riferimento all’ipertensione arteriosa, oppure alle fasi iniziali della malattia renale. Nel caso della quest’ultima, infatti, è soprattutto con l’avanzare del danno che si rendono manifesti i segni più tipici, come il gonfiore a carico di piedi, caviglie, mani e volto, o la riduzione del volume di urine, associati a un corteo di altre manifestazioni che possono includere stanchezza, nausea e vomito, crampi muscolari, difficoltà di concentrazione, affanno.
Cosa fare, quindi?
Ecco, quindi, che si comprende l’importanza di un buon controllo pressorio in presenza di malattia renale. Per evitarne l’ulteriore progressione occorre regolarmente controllare la propria pressione arteriosa e assicurarsi che sia <140/90 mmHg.
In presenza di ipertensione arteriosa diagnosticata, occorre assicurarsi che essa sia efficacemente controllata dalla terapia, in accordo con le raccomandazioni delle linee guida che, in Europa, individuano tra 130 e 139 mmHg di pressione arteriosa sistolica e 70-79 mmHg di diastolica il target della terapia antipertensiva nel paziente con malattia renale cronica.
Le modificazioni dello stile di vita, particolarmente la restrizione di sale nella dieta, fanno immancabilmente parte della corretta gestione del paziente. Tra le classi farmacologiche raccomandate, i bloccanti del sistema renina-angiotensina-aldosterone sono particolarmente raccomandati, soprattutto in presenza di proteinuria.
A cura del Prof. Claudio Ferri – Presidente della Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa – Professore Ordinario in Medicina Interna – Direttore UOC di Medicina Interna e Nefrologia – Ospedale San Salvatore di Coppito (AQ).
A cura della dr.ssa Rita del Pinto – Gruppo dei Giovani Ricercatori – Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa.