Dr.ssa Patrizia Niddomi, specialista in psicologia.
“Freud (1968) affermava che la paranoia fosse una risposta difensiva dell’individuo alla difficoltà di accettare, e ritenere propri, alcuni elementi inaccettabili dell’Io, che venivano così proiettati all’esterno e spalmati sul mondo circostante, offrendo all’individuo la tranquillità di non sentirli più come propri e quindi consentendogli di convivere con se stesso“.
La paranoia può essere, dunque, la proiezione dei propri turbamenti; come affrontarla e riconoscerla? Abbiamo chiesto alla dr.ssa Patrizia Niddomi di parlarci di questa emozione, cercando insieme di capirne di più.
Cosa è la paranoia?
Anche Colby KM (1977) ipotizzava che la paranoia fosse il risultato di una proiezione verso l’esterno di forti sentimenti inconsci di odio e ostilità, che l’individuo rispondesse alla minaccia di un disequilibrio interno, fonte di sentimenti di colpa o inadeguatezza, con la convinzione che fossero gli altri a minacciarlo e che la paranoia derivasse da una discrepanza tra l’immagine ideale che un individuo ha di se stesso e l’esperienza di vergogna o di umiliazione provata in assenza di una corrispondenza.
Le teorie evolutive ipotizzano che la genesi della paranoia ponga le radici in un ambiente infantile in cui venga meno quella “fiducia di base” per cui, in un contesto ipercritico e squalificante, il bambino potrebbe arrivare a identificarsi col genitore ipercritico e sfiduciato, perpetuando, nello sviluppo e nella formazione della sua personalità, tendenze alla squalifica e al biasimo.
Queste teorie costituiscono la base su cui poggiano le Psicoterapie Psicodinamiche che mirano a ristabilire un’equilibrio attraverso processi quale ad esempio “l’esperienza emotiva correttiva”. Fonagy P (1991) sosteneva che il disturbo paranoico ponesse le radici in uno scorretto sviluppo del processo di mentalizzazione (che consente la capacità di comprendere il comportamento interpersonale proprio e altrui), causando una disorganizzazione del sé e della regolazione affettiva. Da questa teoria prende spunto la psicoterapia cognitiva a lungo termine.
Quanto i genitori influiscono sul disturbo paranoico?
Dall’analisi effettuata su alcuni studi di ricerca (Agnello T, 2013) emerge che un basso livello di affettività associato ad un alto livello di trascuratezza, esperienze di incuria, maltrattamento fisico, verbale o sessuale, l’abuso emotivo – come il rifiutare (non ammettere la presenza di una persona), l’insultare, il ridicolizzare, l’intimidire e il limitare la libertà dell’altro – da parte dei genitori verso i propri figli sarebbero fattori di rischio nel determinarsi di uno sviluppo di una personalità paranoide.
La peculiare caratteristica di sospetto e sfiducia, insita del paranoico, fanno sì che, nonostante l’alto grado di disfunzione in aree relazionali diverse (familiare, sociale, lavorativo), il soggetto non chieda aiuto e che, nonostante la maggiore frequenza di esordio si presenti in tarda adolescenza, prima età adulta, si giunga a una psicoterapia solo verso i 30-40 anni e, solitamente, su aspra richiesta di parenti, in risposta a comportamenti depressivi (sino a idee suicidiarie) o rabbiosi e aggressivi. Sfiducia e sospetto stanno anche alla base del forte rischio di abbandono della psicoterapia da parte del paranoico.
La paranoia può essere sintomo di disturbo paranoide, che consiste in un vero e proprio disturbo di personalità caratterizzato dalla tendenza persistente e ingiustificata a percepire e interpretare le intenzioni, le parole e le azioni degli altri come malvagie, minacciose o umilianti, ma può essere anche associata a schizofrenia, disturbo delirante e disturbi dell’umore.
A seconda della gravità dei sintomi e del quadro personologico, alla psicoterapia psicodinamica o cognitiva a lungo termine può essere associata la farmacoterapia, risultante da una corretta diagnosi differenziale eseguita da un medico specialista in psichiatria.