Il cervello è davvero uno strumento meraviglioso: una biblioteca infinita i cui scaffali conservano i nostri ricordi più preziosi e la nostra coscienza. Ma esiste un punto oltre il quale non è più possibile andare? In poche parole: il cervello può essere “pieno”?
La risposta è no. Il cervello è ben più sofisticato di un semplice contenitore. Uno studio pubblicato su Nature Neuroscience dimostra che invece di riempirsi fino al limite, il cervello è in grado di rimuovere vecchi dati per fare spazio a quelli nuovi. Studi comportamentali hanno già dimostrato che l’apprendimento di nuove informazioni può spingerci a dimenticarne altre; in questo nuovo studio, però, i ricercatori hanno utilizzato nuove tecniche di neuroimaging per dimostrare come si verifica questo effetto nel cervello.
L’esperimento
Gli autori della ricerca hanno cercato di indagare su ciò che succede nel nostro cervello quando apprendiamo un’informazione simile a quelle che già conosciamo. Questo è importante perché informazioni simili possono interferire con altri dati che già possediamo, creando un affollamento di dati che non sono realmente utili.
Per riuscirci, hanno esaminato in che modo cambia l’attività cerebrale quando si cerca di ricordare una memoria “target”, cioè quando cerchiamo di ricordare qualcosa di specifico, portando l’attenzione su qualcosa di simile che può farcelo tornare in mente. I partecipanti sono stati istruiti per associare una parola (per esempio, “sabbia”) con due immagini diverse: Marilyn Monroe e un cappello.
Gli scienziati hanno scoperto che quando la memoria “target” veniva ricordata più spesso l’attività del cervello aumentava. Allo stesso tempo, veniva indebolita l’attività del cervello per la memoria competitrice. Questa variazione è più evidente nelle regioni vicino le parti anteriori del cervello, come la corteccia prefrontale, piuttosto che nelle strutture della memoria nel centro del cervello, come l’ippocampo, tradizionalmente associato alla perdita di memoria.
La corteccia prefrontale è coinvolta in una serie di processi cognitivi complessi, come la pianificazione, il processo decisionale e il recupero della memoria selettiva. Questa parte collabora con l’ippocampo per recuperare ricordi specifici.
Se l’ippocampo è il motore di ricerca, la corteccia prefrontale è il filtro che determina quale memoria è più determinante. Questo suggerisce che la memorizzazione di informazioni da sola non è sufficiente per una buona memoria. Il cervello ha bisogno anche di essere in grado di accedere alle informazioni rilevanti, senza essere distratta da pezzi di memoria simili ma “rivali”.
Meglio dimenticare
Nella vita quotidiana, dimenticare presenta davvero dei vantaggi. Immaginate di aver perso la vostra carta di credito. La nuova che riceverete avrà un nuovo PIN. Le ricerche attestano che tutte le volte che si impara il nuovo PIN si tende a dimenticare quello vecchio. Questo processo migliora l’accesso alle informazioni rilevanti, senza l’interferenza di vecchi ricordi.
Quando noi acquisiamo nuove informazioni, il cervello cerca automaticamente di incorporarle accanto a informazioni simili, facendo delle associazioni. Quando le recuperiamo, vengono richiamate sia quelle necessarie che quelle simili ma inutili. E’ quello che succede quando non trovate la vostra auto nel parcheggio e la cercate in un posto dove l’avevate messa qualche giorno prima.
Le nuove ricerche, quindi, stanno cercando di capire come si dimentica e l’utilità che questo processo ha nella nostra vita.
Quando la memoria è un problema
Pochissime persone sono in gradi di ricordare episodi della loro vita in modo molto dettagliato. Essi hanno la sindrome ipertimestica: se dite loro una data, saranno in grado di dirvi dov’erano e cosa stavano facendo in quel giorno. Potrebbe sembrarvi una capacità molto utile, ma a volte può diventare anche fastidiosa. Alcuni infatti riportano l’incapacità di pensare al presente e al futuro a causa della costante sensazione di vivere nel passato, catturati dalla loro memoria. Tutti potremmo cadere in questa trappola, se il nostro cervello non decidesse di dimenticare alcune informazioni del passato per fare spazio a quelle nuove.
All’altro capo dello spettro c’è un fenomeno chiamato “oblio accelerato a lungo termine”, osservato in pazienti affetti da epilessia e ictus. Queste persone dimenticano le informazioni appena apprese ad un ritmo molto più veloce, a volte nel giro di poche ore, rispetto a quello che è considerato normale.
Gli studi in questo settore stanno cercando di dimostrare che ricordare e dimenticare sono due lati di una stessa medaglia. In un certo senso, dimenticare è lo strumento del nostro cervello per smistare i ricordi in modo tale che i più importanti siano pronti per il recupero. Una normale dimenticanza può essere un meccanismo di sicurezza perché il nostro cervello non diventi troppo pieno.