Il Messaggero ieri apriva in prima pagina con un’intervista a Linnea Passaler: la fondatrice di Pazienti.org parla dei 150 anni dell’unità d’Italia, di cosa vuol dire essere innovatori oggi e di come è nato e cresciuto il sogno di Pazienti.org. Buona lettura!
Da Il Messaggero, 23 Febbraio 2011, di Mario Ajello e Simona Antonucci
Una cascata di capelli biondi. La camicia rossa di Garibaldi con tanto di fazzoletto verde-Italia intorno al collo. Non è un’eroina dell’Ottocento, non girerà la Penisola a cavallo e non si chiama Anita. Linnea Passaler, 33 anni, web imprenditrice della sanità, è una dei Nuovi Mille. Anzi, è la testimonial dei patrioti del Ventunesimo secolo, scelta per questo ruolo dal Comitato per le celebrazioni che ha istituito un concorso per «promotori di idee innovative». Un concorso nel campo della ricerca e dell’impresa. Se i garibaldini furono un impasto di cuore, testa, coraggio, spirito di avventura, anche i nostri eroi centocinquant’anni dopo sono giovani che si mettono in gioco, puntano su talento e meritocrazia, danno all’Italia più di quanto l’Italia non investa su di loro perché comunque credono in questo Paese. Sono sfrontati. Come i ragazzi del 1861, intrecciano con lucidità visionaria i destini personali con quelli della Nazione. «L’Italia osserva Linnea deve ritrovare la fiducia in se stessa. Smettere di lamentarsi, di piangersi addosso, di guardare all’estero come se lì tutto fosse perfetto; non ascoltare le Cassandre. Il catastrofismo è solo un alibi per non fare nulla! Vorrei che gli italiani avessero il coraggio di credere nei giovani, nei sacrifici che fanno ogni giorno, vorrei che ignorassero la cosiddetta “realtà” dipinta dai giornali e dalle televisioni».
Perché è stata scelta proprio lei come il volto dei Nuovi Mille? «I Mille rappresentavano la forza dell’innovazione. Rompevano schemi. Creavano cose. Io sono chirurgo odontoiatrico. Ho coniugato la passione per la medicina, il digitale e l’impegno civico. Inventandomi un sito che mette in contatto pazienti e dottori, la sofferenza e la speranza. Il confronto on line permette di scambiare esperienze anche a proposito di strutture sanitarie, le quali dovrebbero migliorare le loro performances attraverso le sollecitazioni delle persone».
Perché la sua iniziativa è rivoluzionaria? Toglie potere ai “baroni”? «E’ rivoluzionaria perché non vuole togliere né dare potere a nessuno. Ma diffondere conoscenza e trasparenza che sono le cifre della modernità. Ho cominciato con i miei soldi. Oggi sono un’imprenditrice digitale che dà lavoro a una decina di persone. Grazie al premio “Working Capital” di Telecom, che ho ottenuto l’anno scorso, mi sono arrivati fondi al momento giusto. Ora siamo in una fase di crescita verso una totale autonomia finanziaria».
L’Italia quanti anni dimostra? «Lo Stato italiano ha solo 150 anni, ma l’Italia è millenaria. Il tesoro della storia, della cultura e della bellezza è una grande eredità, ma rappresenta anche un fardello: se l’Italia fosse giovane come la sua unità politica, oggi sarebbe più avanti degli Stati Uniti. È una provocazione, certo, ma credo davvero che la sfida più importante che dobbiamo vincere nei prossimi anni sia riuscire a coniugare un passato così bello e importante con un presente che valorizzi e sintetizzi le diversità che caratterizzano gli italiani come popolo. Sogno un futuro di unità matura, solida e condivisa».
In che modo si sente italiana? «In ogni atomo. Sono metà meridionale, metà del nord: dentro di me sono forti entrambe le componenti. Ho viaggiato molto e amo immergermi in culture diverse dalle nostre; più lo faccio e più sono certa di vivere nel Paese più bello del mondo».
Che cosa la fa sentire fiera di essere italiana? «Il genio italiano. È come un brodo primordiale da cui scaturiscono la creatività, l’ingegno, lo stile. In questo non siamo secondi a nessuno».
Quali sono i freni che impediscono a questo Paese di sbloccarsi? «Gli italiani si perdono nei dettagli. I particolarismi ci impediscono spesso di essere concreti. Polemiche astratte e disquisizioni troppo filosofiche fanno sì che altri ci superino, nonostante abbiano meno talento. Ronald Reagan teneva affissa questa massima nell’Ufficio Ovale: non c’è limite a ciò che un uomo può raggiungere, se non gli interessa chi se ne attribuisce il merito».
L’Italia s’è desta? «Si sta destando. Non parlo della politica del Parlamento, che dorme sonni profondi. Parlo della miriade di progetti, idee, speranze che vedo nascere e lottare per sopravvivere ogni giorno. C’è un mondo nuovo, fatto di innovazione, di talento, di merito, di trasparenza, che inizia a farsi strada. Per ora sta pulsando sottopelle; ma presto comincerà a venire fuori».
Un nuovo Risorgimento è possibile? «Non solo è possibile, è inevitabile».
Ed è nelle mani delle donne? «È nelle mani di tutti quelli che amano questo Paese, uomini o donne non fa differenza».
È la politica la nostra palla al piede o l’antropologia? «La politica segue l’antropologia, è una sua conseguenza. Non raccontiamoci storie, la classe politica che abbiamo è quella che ci siamo meritati in questi anni. I nostri politici sono dei dinosauri ma a meno che non trovino il modo di farsi imbalsamare sugli scranni del Parlamento l’inesorabile scorrere del tempo fornirà occasioni a nuove generazioni».
Che significa la sua camicia garibaldina? «La spedizione dei Mille è stata una grande avventura, un po’ folle e impulsiva, che ancora oggi ripetiamo in piccolo ogni volta che vogliamo creare qualcosa. Questa camicia rossa è un simbolo che ci lega al Risorgimento, all’Unità e ai loro ideali. Penso a quel visionario di Mazzini e alla Costituzione della Repubblica Romana del 1849 con i valori di democrazia universale che conteneva».
In che senso oggi si può essere garibaldini? «Per me, è la forza irruenta della passione, della follia, della critica allo “status quo”. Significa non accettare nessun “no” senza domandarsi perché mai le cose non potrebbero andare diversamente. I garibaldini partirono sull’onda dell’entusiasmo senza pretendere nessuna garanzia. Essere come loro vuol dire osare. Inseguire un sogno nonostante tutti, intorno a te, sorridano con sufficienza».
Il suo sogno è partito dall’odontoiatria: come fa una disciplina così tecnica a diventare una passione, personale e civile? «L’interesse per le persone, per la libertà e per la giustizia mi ha fatto scegliere percorsi al servizio di esse. La medicina, l’attivismo, la democrazia partecipativa attraverso Internet sono sfaccettature di un’unica passione».
L’Italia è anche il Paese della bellezza, la stiamo sciupando? «Sì, credo che dovremmo proteggere con maggior rigore il nostro patrimonio. Non è solo nostro ma dell’umanità intera».
La bellezza è un’opportunità o una palla al piede? «È un grande dono che ci viene dato gratuitamente. E gratuitamente va restituito, con semplicità. Non è un mezzo».
E per lei? «Grazie del complimento. La bellezza è un’opportunità. L’opportunità di donare un sorriso che non costa nulla».
Lei è fidanzata? «Sì che lo sono! Veramente, ho una vita normalissima».
Che cos’è il familismo? «È il lato negativo del particolarismo di cui parlavo prima. Uno dei principali freni che ci impediscono di volare».
Che cos’è il merito? «Nell’Italia che sogno è il parametro per accedere a incarichi di responsabilità. C’è posto per tutti, speriamo. E se penso al futuro non mi viene l’angoscia. Per nulla. Non sto nella pelle!»
Che parole si ricorda dell’inno d’Italia? «Tutte, dall’inizio alla fine. Nel 1982, mio nonno, immigrato dal Sud a Milano nel dopoguerra e tifoso della Nazionale, mi portò in piazza Duomo a festeggiare la vittoria della Coppa del Mondo. Da quel giorno in me si nasconde una specie di ultrà. E senza inno che ultrà sarei?».
Qual è il suo vero inno d’Italia? «Quello dei milioni di italiani che ogni giorno lavorano per il Paese senza fare rumore».