Vi è mai capitato di attendere con entusiasmo di condividere con il vostro partner una buona notizia, per poi sperimentare un’ondata di frustrazione e risentimento quando questi reagisce a malapena al vostro annuncio?
Come società, poniamo un’enorme enfasi sull’essere presenti l’uno per l’altro nei momenti di difficoltà. A questo proposito, diverse ricerche hanno mostrato come il grado di soddisfazione di una relazione sembra sia influenzato dal modo in cui reagiamo alle buone notizie date dal partner.
Mentre il ricevere supporto emotivo quando siamo giù di corda può avere lo sfortunato effetto collaterale di farci sentire in debito verso l’altro – e più consapevoli delle nostre emozioni negative -, la reazione positiva del partner alle buone notizie può farci sentire più vicini e complici, migliorando la qualità della relazione.
Lo dice la scienza
Un nuovo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Human Brain Mapping, si è servito delle scansioni cerebrali umane per dimostrare come la soddisfazione circa la qualità della relazione di coppie sposate da lungo tempo sia correlata all’attività neurale che i partner manifestano in risposta alle manifestazioni positive dell’altro rispetto alle emozioni negative.
Lo dr.ssa Raluca Petrican, psicologa del Rotman Research Institute di Toronto e i suoi colleghi dell’Università, hanno reclutato per questo studio 14 donne con un’età media di 72 anni sposate da circa 40 anni, sottoponendole a risonanza magnetica durante la visione di alcuni video preparati ad hoc dai ricercatori.
I video, privi di audio, della durata di 10 secondi ciascuno, mostravano il marito di ciascuna donna o uno sconosciuto manifestare un’emozione che non corrispondeva alla connotazione emotiva con cui il videoclip era etichettato.
In sostanza, i video sono stati progettati con lo scopo di mostrare alle donne il proprio marito (o uno sconosciuto) mentre manifestava una reazione emotiva non congrua ai propri sentimenti o ai ricordi di uno specifico evento.
La prima importante scoperta è stata che l’attività cerebrale delle donne nascondeva una particolare sensibilità al riconoscimento dell’emozione positiva dei loro mariti. Questa evidenza ha portato i ricercatori a concludere che i livelli complessivi di soddisfazione coniugale nelle donne sono correlati alla quantità di elaborazione neurale mostrata in risposta all’emozione positiva e negativa del proprio coniuge.
Inoltre, l’importanza che diamo all’emozione positiva dei nostri partner è stata supportata da un’altra scoperta chiave: le donne che hanno ottenuto punteggi più alti nella soddisfazione della propria relazione hanno mostrato una maggiore attivazione cerebrale in regioni innervate da neuroni specchio (responsabili dell’empatia) quando osservavano i loro coniugi, rispetto a quando avevano a che fare con uno sconosciuto.
Inoltre, questa attività potenziata dei neuroni specchio era particolarmente evidente per i video che mostravano una emozione positiva, rispetto a quella negativa, dei loro mariti. Ancora una volta, questo dato sembra sostenere l’idea che la felicità coniugale vada di pari passo con la sensibilità alle emozioni positive del partner.
Ma i mariti?
Dobbiamo però interpretare queste conclusioni preliminari e complesse con cautela. Estrema cautela. L’attenzione esclusiva alle reazioni delle mogli conferisce allo studio un aspetto leggermente vintage, che non tiene conto delle emozioni e reazioni dei mariti.
Detto questo, i risultati sono interessanti e suggeriscono che a livello neurale le persone impegnate in una relazione a lungo termine sono particolarmente sensibili alle emozioni positive dei loro partner. Questo si aggiunge ad altri risultati ottenuti da ricerche precedenti che mostrano, ad esempio, come le persone che non sono in grado di differenziare le proprie emozioni da quelle dei partner (assumendo che siano le stesse), tendono a essere viste dai loro partner come più controllanti e soffocanti e quindi manifestano emozioni negative che portano ad una minore soddisfazione coniugale.
Per gli uomini sarà lo stesso? Non ci resta che aspettare e attendere i risultati di nuovi studi che confermino quest’evidenza anche nel sesso maschile.