Descrivere una malattia non è mai semplice. Soprattutto se si tratta di una patologia che ti trasforma, che ti rende irriconoscibile dinnanzi agli occhi dei tuoi familiari.
Sembra ancora più complicato raccontare i sentimenti di un figlio che si trova ad affrontare il deterioramento mentale di un genitore che vive in un mondo dove nulla accadde realmente e, dunque, dove tutto è possibile: il morbo di Alzheimer. Ma questa foto, che sta spopolando sul web, forse ce l’ha fatta.
Nei lavori all’uncinetto la metafora dell’Alzheimer
È stata postata su Reddit con il titolo di «La progressione dell’Alzheimer di mia madre vista attraverso il suo lavoro all’uncinetto». A raccontare la genesi di questa foto è un utente che, all’età di 22 anni, ha iniziato a vedere sua madre soccombere sotto il peso dell’Alzheimer, a soli 54 anni.
Secondo le sue parole è stata infatti convinta dalla sua compagna a sbarcare sul grande sito di social news dopo le reazioni ricevute su Facebook da parte della sua cerchia di amici. In breve tempo, sono arrivati oltre 3 mila commenti, che hanno dato il via a una delicata discussione sull’Alzheimer, su cosa significa viverlo da vicino.
«Quando mi sono imbattuto nel lavoro all’uncinetto che appassionava mia madre durante i primi stadi di Alzheimer, mi sono reso conto di una cosa semplice: in quei lavori vi era la metafora della sua brutta malattia – spiega l’utente, che commenta sotto lo pseudonimo di wuillermania – I quadrati rappresentano infatti la sua progressione nel corso del primo e del secondo anno, durante la fase precoce della sua malattia. Non ricordo esattamente quando ha smesso di essere in grado di lavorare all’uncinetto per sempre: per un po’ ha disegnato dei quadrati, poi i cerchi, poi piccoli pezzi senza forma, finché non è arrivata al punto in cui si portava dietro gli aghi e il filo senza più lavorare». La mamma con la passione dell’uncinetto oggi ha 66 anni ed è ancora in vita, nonostante abbia smesso di parlare da ormai un po’ di tempo.
La sopravvivenza all’Alzheimer sta anche nella qualità delle cure
È inutile negarlo: il morbo di Alzheimer è una delle malattie che più si ripercuotono sulla vita familiare. E su tutta la comunità. Basti pensare che le persone che soffrono di Alzheimer sono circa 700 mila. Si stima che tra 30 anni, con il progressivo invecchiamento della popolazione, saranno oltre 3 milioni gli anziani che avranno bisogno di una assistenza h 24, costante e continua.
Perché i trattamenti sanitari non bastano mai. Per affrontare malattie degenerative come l’Alzheimer sembra essere indispensabile che la persona malata sia circondata da un ambiente nel quale si senta supportata e sostenuta. O, almeno, questo è ciò che sostiene Maria Luisa Raineri, assistente sociale e docente all’Università Cattolica di Milano. Non è un caso che la mamma che ama l’uncinetto sia sopravvissuta 12 anni dal momento dell’esordio dei primi sintomi, un periodo nettamente superiore alla media: i medici hanno ricondotto tale longevità alla qualità delle cure ricevute a casa.
Banalizzare, però, non porta a nulla. Fare di tutta l’erba non fascio, neppure. Il rapporto con un malato di Alzheimer non è per nulla semplice, ci dicono le esperienze di quei figli che l’hanno vissuto con le loro madri, con i loro padri.
L’assistenza a un parente malato provoca ansie, aspettative e timori. Talvolta, fa emergere rancori, conflitti non risolti all’interno della stessa famiglia. Tuttavia, secondo Ranieri, il sentimento prevalente per chi, a vario titolo, si prende cura di un malato d’Alzheimer è l’inadeguatezza, incrementata da laceranti sensi di colpa nei confronti del proprio malato. Non è semplice. E non lo è neppure prendersi cura degli altri come davvero vorremmo. I motivi economici, familiari e sociali possono rappresentare un limite reale.
Per queste ragioni, assistere chi assiste è di fondamentale importanza. Non è un caso che le Associazioni e i gruppi di ascolto che lavorano in questa direzione siano davvero tanti.