Dr. Teodoro Aragona, otorinolaringoiatra
Il termine “polipo” definisce un’anomala escrescenza tissutale lungo una membrana mucosa, che sporge in una cavità corporea. Questi si possono classificare in base a diversi elementi, tra cui la forma e la superficie, la crescita, la dimensione, la modalità di ancoraggio, la composizione citologica e la localizzazione degli stessi. Inoltre, i polipi possono originare in più sedi anatomiche: si hanno i polipi uterini, intestinali, vescicali, al naso e allo stomaco. Molto diffusi, inoltre, sono i polipi all’orecchio: vediamo insieme al dr. Teodoro Aragona, otorinolaringoiatra, di cosa si tratta.
Cos’è un polipo all’orecchio?
In medicina per polipo si intende una neoformazione, sessile o peduncolata, originante da un epitelio mucoso. In otologia tale termine è improprio e si utilizza per indicare la presenza di una neoformazione tissutale “simil-mucosa” all’interno della cassa timpanica, che qualora aumenti di dimensioni può arrivare ad occupare l’orecchio esterno.
Da un punto di vista anatomo-patologica, questa formazione ha una struttura istologica simile al tessuto di granulazione proprio di alcuni processi infiammatori cronici.
Cosa lo provoca e quali sono i sintomi?
Le cause dei polipi all’orecchio sono spesso da ricollegare ad episodi infiammatori cronici spesso sottovalutati e mal curati che, evolvendo, possono provocare una abnorme reazione tissutale attorno.
Tali polipi, detti anche “sentinella”, sono spesso indicatori di una sottostante otite cronica colesteatomatosa, una forma particolare di otite con una componente istologica epiteliale che si comporta come un tumore border-line.
Infatti, pur non presentando caratteristiche di diffusione metastatica, tende a crescere in maniera incontrollata e ad usurare l’osso circostante, provocando – talvolta – importati complicanze (come un ascesso cerebrale, una meningite, una encefalite, una paralisi del nervo facciale, la perdita dell’udito e le vertigini).
I polipi all’orecchio possono essere spia, seppur più raramente, di patologia tumorale maligna (come ad esempio, i carcinomi del condotto uditivo esterno) o benigna (come i paragangliomi).
Altre patologie che entrano in diagnosi differenziale possono essere meningoceli o meningoencefaloceli, i tumori neuroendocrini, otite esterna maligna.
È importante, dunque, un’attenta valutazione clinica e strumentale per porre un’adeguata diagnosi eziologica. Da questo momento in poi parleremo dei polipi riferendoci alla causa più frequente, intesi quindi come espressione di una otite cronica colesteatomatosa.
I sintomi dei polipi all’orecchio possono essere eterogenei. Tra questi:
- Ipoacusia soggettiva (spesso ingravescente, associata o meno ad acufeni)
- Otorrea (perdita di liquido dall’orecchio, spesso a carattere purulento e maleodorante)
- Otorragia (perdita di sangue dall’orecchio)
- Otalgia, dolore all’orecchio
- Paralisi del nervo facciale
- Vertigini
Analizzando i sintomi si può notare come alcuni di questi siano molto diffusi. Per tale motivo, preme sottolineare come non sia bene sottovalutare tali sintomi, anche quando questi risultino essere transitori ed in parte rispondenti a terapie mediche empiriche.
Una visita otologica può infatti porre diagnosi di patologie potenzialmente gravi in una fase precoce di malattia con un impatto significativo in termini di prognosi a lungo termine, di riduzione delle complicanze, di approcci terapeutici meno invasivi e, soprattutto, di conservazione dell’udito.
Qual è il trattamento consigliato per i polipi all’orecchio?
La terapia è sostanzialmente chirurgica e va a trattare, oltre al polipo stesso, l’otite media cronica che sta alla base. L’intervento chirurgico viene denominato “timpanoplastica” e ha come obiettivi:
- la rimozione dell’infezione cronica
- la conservazione quanto più possibile dell’udito residuo
- il ripristino di un orecchio medio in grado di ventilare senza problemi.
Tale intervento si pratica solitamente in anestesia generale ed in microscopia, con un’incisione retroauricolare. Esistono diverse tecniche chirurgiche che il chirurgo otologo adatta, come un bravo sarto, in base all’estensione dell’infezione e alla esatta localizzazione della patologia nell’intento di ridurre al minimo la possibilità di eventuali complicanze.
In casi selezionati si può intervenire per via endoaurale con tecniche endoscopiche. In genere la degenza media è di 2-3 giorni e il paziente può riprendere le normali attività lavorative dopo 7-10 giorni.
Per concludere è importante non sottovalutare quindi i sintomi auricolari ed effettuare precocemente una visita otologica alla loro prima comparsa. Una diagnosi precoce, infatti, può permettere trattamenti tempestivi, medici e/o chirurgici in base ai casi, e permettere una maggiore preservazione delle funzioni uditive.