Iniziamo dai dati. I casi di nuove infezioni da AIDS sono in calo, è innegabile. Purtroppo, però, il divario è davvero minimo se si guarda alla fascia dei ragazzi e delle ragazze under 25, sintomo del fatto che è nettamente diminuita la percezione del rischio soprattutto tra i più giovani.
Il direttore del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità, Gianni Rezza, è molto chiaro a tal proposito. L’aumento dei casi «è dovuto a una perdita della memoria generazionale rispetto alla gravità di questa malattia».
A pochi giorni dalla Giornata Mondiale contro l’AIDS (AIDS day), in programma per il 1° dicembre, l’Istituto Superiore di Sanità ha deciso di diffondere i dati relativi al 2016: con 3451 nuove diagnosi di infezione, l’Italia è al 13° posto in Europa. Questo significa che ci sono 5,7 nuovi casi ogni 100 mila residenti in Italia e, sul totale delle diagnosi del 2016, il 76,9% si è registrata tra i maschi. In particolare la Lombardia, con circa 20.000 persone affette da HIV e AIDS (e Milano che ne registra 400 all’anno!) è tra le regioni con la maggior concentrazione di pazienti, insieme a Lazio, Emilia Romagna e Liguria.
D’altronde, «Se te ne fotti, l’AIDS ti fotte», recita il claim della campagna di sensibilizzazione di Anlaids, onlus da decenni impegnata nella lotta all’HIV. L’obiettivo è di riportare l’attenzione su un tema che sembra essere dimenticato, ma che continua a colpire in silenzio, condizionando la vita di migliaia di persone. Ecco, dunque, cosa dovremmo fare (e spiegare): il problema dell’HIV interessa tutti i cittadini e tutta la comunità.
Prevenire la trasmissione e il contagio dell’HIV: l’obiettivo della campagna della Giornata Mondiale contro l’AIDS
Un grande sì è per il sesso sicuro e protetto, su questo non si hanno dubbi. Ugualmente categorica è la necessità di evitare trasmissioni di sangue infetto, tramite scambi di siringhe e quant’altro.
E tra gli strumenti per prevenire nuove trasmissioni, vi è anche la tanto discussa profilassi pre-esposizione o PrEP, che prevede l’assunzione di un farmaco combinazione di due antiretrovirali per i sieronegativi ad alto rischio di contrarre l’infezione.
La PrEP sembra essere infatti una strategia molto efficace nell’impedire il contagio durante un rapporto a rischio: è uno strumento che funziona, affermano gli esperti. Secondo una serie di studi, discussi a Seattle in occasione del CROI (Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections), la profilassi porta i risultati desiderati in oltre il 90% dei casi.
I dubbi, però, rimangono. L’obiettivo «non è solo somministrare una pillola, è dare assistenza, educare e informare» ha spiegato Andrea Gori, Direttore del polo malattie infettive dell’ospedale San Gerardo di Monza, sottolineando che «si tratta semplicemente di una strategia di riduzione del danno». Ma ciò significherebbe somministrare un farmaco dagli effetti collaterali a una persona sana.
Non solo – «questa terapia va assunta sotto stretto controllo medico ed è efficace solamente contro l’HIV e non contro le altre malattie sessualmente trasmissibili in forte crescita», come l’epatite C, l’hpv, la gonorrea e la sifilide, che è aumentata del 300% in due anni.
Serve il preservativo. E l’80% dei giovani lo rifiuta categoricamente.
Fai l’auto test (tutelando la tua privacy)!
Da oltre un anno, in Italia è disponibile in farmacia – senza la necessità di prescrizione medica! – il cosiddetto auto-test o self-test: si tratta di un esame di screening monouso a risposta rapida per la ricerca degli anticorpi anti-HIV-1 e/o anti-HIV-2, per prevenire l’AIDS.
È pratico e veloce, e consente di avere i risultati in soli 15 minuti, rilevando la presenza di anticorpi IgG e IgM anti-HIV-1 e HIV-2 attraverso un prelievo di sangue dal polpastrello delle dita. Perché non farlo, se si è andati incontro a situazioni di rischio contagio?
Ricordiamo, inoltre, che il test HIV è assolutamente affidabile, soprattutto nel caso in cui venga eseguito a 3 mesi di distanza dall’ultimo comportamento a rischio. Soprattutto, questo test è studiato per far sì che le persone giungano a una consapevolezza sul proprio stato di salute, nel rispetto della privacy e senza la necessità di andare in un ospedale.
Il vero problema dell’HIV e dell’AIDS? La diagnosi tardiva
Il principale problema è proprio questo: la diagnosi tardiva. «Il 40% delle nuove infezioni sono diagnosticate solo quando si sviluppano i sintomi, cioè 10 anni dopo aver contratto l’infezione» – ha spiegato Andrea Gori. Questo, come ovvio, implica il mettere a repentaglio la vita dell’individuo ma soprattutto dell’intera comunità.
È in questo contesto, che emerge con estrema chiarezza l’importanza dell’auto test: per interrompere la famosa catena del contagio, è necessario scoprire lo stato sierologico delle persone nel minor tempo possibile dopo il contagio. Perché solo la diagnosi, con il ricorso tempestivo agli antiretrovirali, consentono di bloccare la progressione della malattia.
L’obiettivo da raggiungere, per poter finalmente fermare l’AIDS, è quello del «90-90-90»:
- Diagnosticare il 90% delle infezioni da Hiv
- Far entrare in terapia il 90% delle persone con diagnosi
- Raggiungere l’abbattimento della carica virale nel 90% delle persone in cura
Solo così, si aprirebbe una speranza, a partire da questa Giornata Mondiale dell’AIDS.