"Di vulvodinia si può guarire": parliamone con la fisioterapista De Vanna e l'ostetrica Danzi

Arianna Bordi | Editor

Ultimo aggiornamento – 11 Novembre, 2024

Ragazza dolorante

Il dolore vulvare privo di una causa organica evidente non è un disturbo recente, per lungo tempo, però, è rimasta un'esperienza silenziosa e poco compresa, sia dalle donne che ne soffrivano, sia dagli operatori sanitari; fino a circa quarant'anni fa, infatti, questa condizione non era neanche descritta nella letteratura medica.

La vulvodinia rappresenta una delle cause più comuni di dolore durante i rapporti sessuali nelle donne in premenopausa e, nonostante la difficoltà nel definire una prevalenza esatta a livello mondiale, si stima che possa colpire tra l'8% e il 10% delle donne di tutte le età.

In occasione della Giornata Internazionale della Vulvodinia, grazie alla collaborazione con il portale Vulvodinia Online, che dal 2020 si prefigge di sensibilizzare sulla tematica per provare ad abbassare i cinque anni di ritardo medio di diagnosi, abbiamo potuto approfondire le sfaccettature di questa patologia con due professioniste sanitarie qualificate: la dottoressa Angela De Vanna, fisioterapista specializzata in riabilitazione pelvica, e la dottoressa Beatrice Danzi, ostetrica esperta in riabilitazione pelviperineale. 

Come si arriva alla diagnosi?

De Vanna: La vulvodinia è una patologia negletta da diagnosticare poiché non è visibile, non ci sono strumenti diagnostici come indagini strumentali o analisi ematiche per poterla riconoscere. 

All’aspetto esterno di “vulva sana” corrisponde internamente una “vulva ipersensibile” che brucia, pizzica, prude, con un dolore riferibile anche a sensazioni di tagli, spilli, lacerazioni, ma può presentarsi in forme molto differenti, che rendono il suo riconoscimento ancor più ostico.

Per la diagnosi è necessario rivolgersi ad uno specialista esperto in vulvodinia e dolore pelvico cronico: ginecologo/a con formazione specifica o altri specialisti del settore come uro-ginecologi, fisiatri, urologi, neuro-urologi.

La diagnosi consiste nella valutazione della sintomatologia riportata spontanea (insorgenza senza causa apparente) e/o provocata (rapporti, posizione seduta, cammino) che, correlata all’esame obiettivo e alla positività dello Swab test (o Q-tip test) , permette di escludere altre patologie e confermi la presenza di allodinia e ipersensibilità caratterizzanti la vulvodinia.

Danzi: Il primo step per ottenere una diagnosi è rivolgersi a uno specialista (solitamente ginecologo/a) esperto e formato in materia: formulare una diagnosi infatti è una competenza esclusivamente medica. 

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Purtroppo non sempre è facile e immediato, perché la vulvodinia è ancora poco studiata nei corsi di laurea e non c'è molto aggiornamento professionale in tal senso; inoltre, sono pochissimi i medici che vogliono approfondire il tema del dolore pelvico di modo da poter diventare un punto di riferimento per le pazienti che ne soffrono. 

Talvolta sono i professionisti sanitari come ostetriche e fisioterapisti che invitano le loro pazienti a effettuare una visita specialistica, in modo da poter avere una diagnosi corretta ed un percorso ben delineato e multidisciplinare.

Vulvodinia e rapporti sessuali: facciamo il punto

De Vanna: Le pazienti affette da vulvodinia incorrono spesso in disfunzioni della sfera sessuale come la dispareunia (dolore ai rapporti) e il calo del desiderio, la vulva infatti, da centro del piacere e del benessere intimo, ne diventa la principale antagonista.

Il dolore persistente e i molteplici tentativi di cura fallimentari, generano nel tempo vissuti ed esperienze negative, subentra un senso di perdita di controllo sul proprio corpo, aumenta la percezione di vulnerabilità e fragilità. 

La paura del dolore, il senso di frustrazione e l’ipervigilanza si infiltrano nella sessualità e nella quotidianità intaccando la sfera psico-emotiva e relazionale della persona.

Nella fase iniziale della terapia è quindi indicata un’interruzione della sessualità “coitale e non”, per spezzare il circolo vizioso del dolore, resettare i fattori triggeranti la sintomatologia e trattare l’ipertono della muscolatura pelvica


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Nel percorso di cura l’obiettivo sarà dissociare il dolore all’area pelvica, non sarà più consentito “tollerare” il dolore, ma creare delle nuove alternative di piacere sicure e condivisibili, che portino alla riscoperta del benessere.

La sessualità può avere diversi tempi, può essere esplorata in moltissimi modi, ed è importante un percorso sessuologico che tenga conto della storia, dell’esperienze e delle preferenze della singola paziente per poter ricostruire un benessere sessuale e psico-emotivo slegato dalla paura del dolore.

Danzi: Spesso prima di avere un inquadramento diagnostico e terapeutico ottimale serve molto tempo e, purtroppo, le donne "imparano" a convivere con dolore e fastidi di varia natura: la sfera probabilmente più intaccata è quella sessuale.

L'OMS definisce la salute sessuale come componente fondamentale della salute globale dell'individuo ed è importante che nessun professionista sanitario né medico tralasci mai questo aspetto quando si relaziona con pazienti che vivono la condizione della vulvodinia. 

È necessario che, in situazioni di dolore pelvico, vengano apportate modifiche nell'approccio alla sessualità, sia da sole che in compagnia, e in questo i giusti professionisti sapranno guidare con competenza ed empatia le donne: possono presentarsi problematiche come dolore, bruciore, rigidità muscolare, secchezza, difficoltà nell'orgasmo, calo del desiderio. 

Sicuramente un grande ostacolo, a livello fisico ma anche psicologico, ma con le cure adatte, la giusta dose di pazienza e tanta determinazione anche la sessualità potrà evolvere in positivo.

Quali sono i trattamenti a disposizione?

De Vanna: Il trattamento richiede un percorso multimodale e multidisciplinare poiché essendo una sindrome con diverse manifestazioni, presenta differenti cluster di attivazione e mantenimento.

Nell’anamnesi pregressa delle donne che sviluppano vulvodinia sono infatti presenti fattori precipitanti correlati alla disregolazione del sistema di percezione del dolore, tra questi i più comuni sono: infezioni uro-genitali ricorrenti (cistiti, candidosi), alterazioni ormonali (menopausa), comorbilità (endometriosi, fibromialgia, sindrome del colon irritabile), dispareunia (dolore ai rapporti).                         

La presa in carico prevede dunque la collaborazione di differenti specialisti, in risposta alle singole comorbilità e fattori associati. 

Tra i trattamenti e le terapie indicate troviamo:

  • terapia integrativa: utilizzo sistemico e/o topico di prodotti a base di PEA, CBD, vitamina B, acido-alfa-lipoico; 
  • terapia farmacologica: utilizzo sistemico e/o topico di farmaci anti neuropatici (antidepressivi e antiepilettici), miorilassanti e analgesici
  • riabilitazione pelvica: per il ripristino dell’elasticità e della competenza della muscolatura pelvi-perineale che sovente, in risposta al dolore, attiva uno stato di co-contrazione e ipertono responsabile del dolore muscolare e della compressione delle strutture vascolo-nervose; 
  • ripristino del microbiota intestinale e vaginale: utilizzo di un piano alimentare bilanciato, integrazione con vitamine, amminoacidi, prebiotici e probiotici
  • supporto psicoterapico: per la gestione psico-emotiva del dolore cronico, dei disturbi d’ansia e depressione, della paura e dei comportamenti di evitamento. 

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Danzi: Il percorso multidisciplinare è sicuramente un'arma vincente: trattando la problematica su più fronti è possibile avere buonissime probabilità di successo. 

Partire da una diagnosi con eventuale terapia medica è importantissimo, ma le figure che ruotano attorno a questo cammino sono differenti. 

In primis, ostetrica o fisioterapista esperta in riabilitazione del pavimento: si tratta di un ambito ancora poco conosciuto ma prezioso per prendersi cura della muscolatura pelviperineale (spesso disfunzionale quando si presenta dolore pelvico) e di ciò che comprende, cioè muscoli, ma anche mucose, terminazioni nervose, stili di vita, salute mestruale, postura, funzione evacuativa e minzionale.

Altre figure professionali utili possono essere il nutrizionista, lo psicologo-sessuologo, l'osteopata; insomma, è un lavoro a 360° con al centro i bisogni e le aspettative di ogni paziente.

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La qualità della vita può migliorare?

De Vanna: La prima cosa che è importante sapere è che di vulvodinia si può guarire: oggi sappiamo che l’insorgenza della patologia è legata alla conseguenza di eventi progressivi che in soggetti predisposti innescano un meccanismo di neuro-sensibilizzazione prolungata responsabile del dolore vulvare.

Negli anni passati infatti, non essendo riconosciuta, l’evoluzione temporale e la mancanza di cure erano responsabili dell’aggravarsi delle manifestazioni cliniche.

Oggi invece sappiamo identificarla ed è quindi possibile tornare indietro: il ripristino ad integrum è maggiore quando la diagnosi avviene entro i 18/24 mesi dalla comparsa della sintomatologia, una diagnosi precoce è quindi fondamentale per la guarigione; nelle forme più complesse e prolungate, la terapia è efficace nel contenere in modo importante la sintomatologia e consentire una qualità di vita sostenibile.

La ricerca sta facendo passi da gigante e oggi il numero di professionisti che si forma in tale ambito è in costante crescita; molte sono, inoltre, le piattaforme dedicate alle associazioni di pazienti e professionisti, per trovare una rete di supporto e informazioni utili ai percorsi di cura.

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Danzi: Non potendo risalire, molto spesso, alla causa della vulvodinia, non è sempre facile capire in prima battuta il tipo di percorso terapeutico più indicato.

A volte si genera caos nella mente delle pazienti, non si sa a chi rivolgersi e soprattutto se "vagare" da un professionista all'altro sia proficuo. 

Con il percorso giusto è possibile guarire dalla vulvodinia e, quando questo non è possibile, si può convivere con questa faticosa compagna di viaggio, tenendola a bada tra alti e bassi. 

Fortunatamente al giorno d'oggi circola un po' più di informazione, anche grazie ai social, alle iniziative di sensibilizzazione, ai gruppi di pazienti: sapere che ciò che proviamo sulla nostra pelle (magari da anni) non è fisiologico e che tutto ciò ha un nome ed una possibile cura è già un grande passo in avanti, un passo più vicino all'obiettivo di stare meglio e vivere senza dolore.

Arianna Bordi | Editor
Scritto da Arianna Bordi | Editor

Dopo la laurea in Letteratura e Lingue straniere, durante il mio percorso di laurea magistrale mi sono specializzata in Editoria e Comunicazione visiva e digitale. Ho frequentato corsi relativi al giornalismo, alla traduzione, alla scrittura per il web, al copywriting e all'editing di testi.

Le informazioni proposte in questo sito non sono un consulto medico. In nessun caso, queste informazioni sostituiscono un consulto, una visita o una diagnosi formulata dal medico. Non si devono considerare le informazioni disponibili come suggerimenti per la formulazione di una diagnosi, la determinazione di un trattamento o l’assunzione o sospensione di un farmaco senza prima consultare un medico di medicina generale o uno specialista.
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