Il cervello umano non è così abile a lavorare in multitasking come comunemente si crede. Quando si pensa di fare bene un’attività e poi se ne inizia un’altra, anche una semplice telefonata, non sempre si riescono effettivamente a svolgere entrambe allo stesso tempo e con la stessa qualità.
Infatti in quel momento il cervello sta distogliendo l’attenzione da una parte per impegnarla altrove. Servono tempo, risorse e cellule cerebrali: è più probabile che si sia più lenti e non così efficienti.
È vero che l’uomo è in grado di spostare velocemente la propria attenzione (può bastare anche solo un decimo di secondo), ma il tempo non è comunque paragonabile a quello richiesto al cervello per mettersi in moto. Questo potrebbe compromettere le prestazioni e la qualità del lavoro prodotto.
Un esempio concreto: quando siamo alla guida
Prendiamo un’attività quotidiana come guidare un’automobile. Osservando la risonanza magnetica di qualcuno che sta guidando, si nota come gran parte del cervello sia attivato e impegnato in quell’azione. Ora, se contemporaneamente si inizia un’altra attività, come ascoltare qualcuno che parla, ecco che la quantità di attenzione sulla guida diminuisce di circa il 37%.
Allora non può trattarsi di buon multitasking se l’attenzione si riduce così notevolmente.
Un dono naturale
Si ritiene che solo il 2% della popolazione mondiale riesca ad eccellere nel multitasking. È una sorta di dono genetico.
Queste persone riescono davvero a svolgere più attività contemporaneamente senza mai perdere in efficienza o qualità. La maggior parte dell’umanità, invece, non possiede questo dono.
Alcuni studi evidenziano come le donne sappiano gestire il multitasking meglio rispetto agli uomini. Inoltre, chi pensa di essere tra i migliori in questo campo, in realtà figura quasi sempre tra i peggiori. Forse, proprio perché si trova in “modalità multitasking” quando pensa di dare il meglio in ciò che sta facendo.