Quando all’improvviso un bambino comincia a balbettare, i genitori tipicamente entrano in ansia. Ma bisogna davvero preoccuparsi? Cosa possiamo aiutare nostro figlio? E che fare quando a balbettare è un adulto?
Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Tiziana Rossetto, Presidente della Federazione Logopedisti Italiani (FLI).
Partiamo dalle definizioni. Cos’è la balbuzie?
A livello mondiale la balbuzie viene oggi definita come un disturbo multi-fattoriale e multi-dimensionale. Attenzione: non si tratta di un’etichetta fine a se stessa, ma rimanda a un concetto importante. Quello che la salute non è semplicemente un’assenza di malattia, quanto, piuttosto, un completo stato di benessere fisico, mentale e sociale.
La balbuzie è determinata da fattori fisiologici, genetici, ambientali, cognitivi, emotivi e linguistici. Ecco perché parliamo di un disturbo multi-fattoriale. La persona balbuziente può avere tutti questi fattori, o magari solo alcuni.
In ogni caso, si tratta di variabili che giocano un ruolo cruciale tanto nell’insorgenza, quanto nel mantenimento del disturbo. Per questo ormai si parla di “sindrome di balbuzie”.
Cosa implica questa terminologia?
Parlare di sindrome significa sottolineare il concetto di multi-dimensionalità di questo disturbo e cambiare la prospettiva con cui affrontarlo, tanto nel bambino, quanto nell’adulto che balbetta. Perché oltre alla disfluenza – i blocchi, le ripetizioni di sallabe, ecc. – ci possono essere anche comportamenti della persona balbuziente che vengono determinati e condizionati dal disturbo.
Qualche esempio concreto?
Tipicamente i balbuzienti cercano di parlare pochissimo e di evitare di essere interrogati. Evitano di parlare in pubblico o con estranei, ecc. In poche parole, anche la loro socialità viene condizionata.
Qual è il profilo tipico del balbuziente?
Rispetto al sesso, questo disturbo colpisce più i maschi che le femmine. C’è poi la componente anagrafica: al di sotto del sesto anno di età il disturbo risulta più frequente. Nello specifico: nei bambini in età prescolare circa il 2,5-5% soffre di questo disturbo.
Ma – e questo è molto interessante – i dati sull’Italia ci dicono che nel 50-80% dei casi la balbuzie regredisce spontaneamente, senza alcun trattamento, entro la pubertà.
Solo nel 5-6% dei casi il disturbo permane.
Esistono varie tipologie di disfluenza?
Sì. Le differenti insorgenze del disturbo comprendono:
- ripetizioni: di sillabe, di parti di parole o di parole monosillabiche;
- fonemi prolungati;
- pause “tese” tra una parola e l’altra. La persona, nel tentativo di produrre un eloquio, mette in tensione tutto il suo apparato vocale, con uno sforzo che appare evidente.
Nei casi più gravi, ci sono anche movimenti della testa associati a questo sforzo, o balbuzie motoria: movimenti di braccia/mani che servono alla persona balbuziente per produrre la parola.
Quali sono le cause della balbuzie?
L’eziologia della balbuzie è ancora incerta. Non è semplice comprendere i fattori che scatenano la comparsa o persistenza di questo disturbo. Ma, come accennavamo prima, ormai tutti gli autori sono concordi nel definirlo un disordine multi-fattoriale.
Sicuramente, è possibile ereditare una predisposizione genetica. Molte persone balbuzienti hanno altri balbuzienti nella loro famiglia.
Ci sono poi anche altre variabili, di natura individuale: variabili cognitive o ambientali (cioè legate al contesto socioculturale, scolastico, familiare).
Ci sono differenze tra le balbuzie nel bimbo e nell’adulto?
Sì. In età evolutiva precoce (2 anni e mezzo – 3) è importante fare una distinzione tra l’acquisizione del linguaggio e la componente della fluenza. In questa primissima fascia d’età, è difficile isolare il disturbo, perché il bambino è in un momento di veloce acquisizione di linguaggio. Impara termini nuovi, arricchisce e allarga il suo vocabolario molto rapidamente: quindi c’è una mescolanza tra affluenza e fluenza del linguaggio.
In altre parole, è fisiologico il fatto che alcuni bimbi in questa età abbiamo disfluenze evolutive.
La diagnosi di balbuzie si può fare solo in base alla permanenza del disturbo.
Se la disfluenza permane per 5-6 mesi, sicuramente consigliamo di fare comunque un monitoraggio con il logopedista.
Qual è il ruolo del logopedista nel trattamento della balbuzie?
In questa tenerissima età, il logopedista deve dare ai genitori (ma anche agli insegnanti) un counselling informativo, spiegando quali sono le situazioni comunicative che possano facilitare gli scambi linguistici con il bambino. Siamo in una fase in cui l’ambiente può incidere ancora moltissimo sulla fluenza del bimbo.
Alcuni esempi pratici?
Agire sulla velocità dell’eloquio: se un genitore si rende conto di parlare velocemente, anche il figlio tenderà a parlare velocemente. E se c’è un problema di fluenza, la velocità è un fattore di rischio. Dunque, genitori in primis, rallentate l’eloquio.
Altra cosa importantissima: non finite le frasi al posto del bambino.
Il bambino è perfettamente consapevole del suo problema e ne viene mortificato.
Certo, non è facile: ma la regola numero uno per aiutare vostro figlio è controllare la vostra ansia – pur comprensibile – di genitori. Attenzione perché l’ansia si manifesta anche con la comunicazione non verbale. Se non dite nulla, ma la vostra mimica facciale è ansiogena, il bambino percepirà chiaramente il vostro stato d’animo.
Concentratevi su quello che visto figlio vi dice, non su come lo dice.
In questo modo, sposterete la vostra attenzione e darete più valore della sua comunicazione. Il bambino se ne accorgerà: vedrà che la sua produzione verbale è accettata e che i suoi tempi sono rispettati. Così acquisirà maggiore sicurezza.
Altri consigli?
Non fate al bambino due-tre domande di seguito. La pressione temporale è un fattore che contribuisce ad alimentare la balbuzie.
C’è poi da prendere in considerazione l’aspetto spiacevole della stigmatizzazione sociale. I bambini con problemi di disfluenza devono anche essere supportati nella gestione delle prese in giro da parte dei compagni.
Per quanto riguarda la balbuzie nell’adulto, cosa può fare il logopedista?
Gli studi più recenti hanno dimostrato che l’attitudine comunicativa e reattiva – vale a dire come si reagisce anche emotivamente al disturbo – devono essere valutate dal logopedista, che deve misurare quanto queste possano condizionare il disordine.
Rispetto alle varie tecniche di trattamento, il logopedista può intervenire con lavori di gruppo, che risultano solitamente molto utili e motivanti, sia per gli adolescenti che per gli adulti. Ci può essere anche un supporto psicologico da parte di una psicologo che abbia ricevuto una formazione ad hoc sulla balbuzie, che può così affiancare il logopedista.
Altri metodi di trattamento utilizzano il doppiaggio o sono incentrati su lavori di drammatizzazione, di messa in scena di simulazioni che aiutano la persona ad affrontare varie situazioni abitualmente temute. Chi soffre di questo disturbo viene aiutato, per esempio, nella gestione delle telefonate, nelle risposte al campanello, nel parlare in pubblico. Man mano arrivano rinforzi positivi, che aiutano a migliorare l’autostima.
Insomma, il problema principale non è tanto, né solo, la disfluenza in sé: quanto piuttosto le idee, i pensieri, le emozioni che le persone hanno e provano nei confronti del loro disturbo. I blocchi sociali ed emotivi che ne derivano e cha vanno presi in considerazione per offrire una preso in carico ottimale a chi soffre di questa sindrome.