Ansia e rabbia: come superare il disagio

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Ultimo aggiornamento – 14 Aprile, 2020

Dr.ssa Alessia Signorelli: specializzata in Terapia della coppia e Terapia Familiare. Si occupa, inoltre, di problematiche relazionali, disturbi d’ansia e gestione dello stress, disturbi dell’umore, difficoltà disturbi dell’alimentazione. Lavora come Mediatrice Familiare con le coppie in via di separazione. Trovate la dr.ssa Signorelli a Milano, qui


Alzi la mano chi non ha mai sofferto di ansia? A volte, questo disturbo può diventare grave, con un’influenza negativa sulla nostra quotidianità. Importante è rendersene conto e, se necessario, non aver alcun timore di chiedere aiuto.

Abbiamo rivolto alcune domande alla dr.ssa Signorelli, psicoterapeuta, per capire insieme come gestire al meglio il disturbo d’ansia.

Senso di pesantezza al petto, respiro corto e mani che sudano: parliamo di ansia. Cosa nasconde, veramente, questo disagio?

L’ansia è un’emozione che tutti, almeno qualche volta nella vita, abbiamo sperimentato e mette l’organismo in uno stato di allerta e tensione. Quando però l’ansia diventa troppa, diventa faticosa e mette a dura prova, a tal punto da interferire con le normali attività quotidiane e con la capacità di pensare e di agire, si ha la sensazione di essere dominati da qualcosa di troppo grande, che paralizza corpo e pensieri, di fronte a cui ci si sente impotenti.
L’ansia può assumere varie forme: alle volte si tratta di un’agitazione moderata, altre si manifesta sottoforma di attacchi di panico, altre ancora come un disturbo generalizzato che condiziona e interferisce con la qualità della propria vita quotidiana.

Le forme con cui si manifesta un attacco di ansia sono le più diverse, dalla paura di morire, alla sensazione di soffocamento, all’attacco di claustrofobia, al desiderio di scappare da dove ci si trova. Il denominatore comune dell’ansia però è sempre lo stesso: la paura di perdere il controllo.

La psicoterapia aiuta a capire il significato che l’ansia assume per chi ne soffre, diverso a seconda delle esperienze vissute, dello stile di attaccamento e dei modi di funzionamento appresi e interiorizzati già nelle prime relazioni con le figure di attaccamento. L’ansia, inoltre, ha una funzione ben precisa per ciascuno, è una medicina disfunzionale che chi ne soffre auto-assume, bisogna capire per curare quale sofferenza; per esempio, può servire a tenere a bada un vissuto depressivo. Inoltre, il vissuto ansioso nasconde sempre altre emozioni, che chi soffre d’ansia sente di non poter esprimere perché nel corso delle sue esperienze relazionali ha interiorizzato essere inadeguate, inaccettabili, pericolose, minacciose o ancora, non gradite.

Solo una volta raggiunta la consapevolezza del significato, delle forme, della funzione che l’ansia assume, si potrà aprire la strada, con il lavoro psicoterapico, al cambiamento e l’ansia potrà lasciare il posto alle parti di sé tenute in precedenza sotto controllo, più sane, funzionali, vitali e autentiche.

Esistono dei metodi per gestire le crisi di ansia?

Innanzitutto, è importantissimo individuare i momenti in cui ci si sente maggiormente in ansia: sono situazioni ricorrenti, che hanno qualcosa in comune o magari legate a una particolare sfera relazionale (lavorativa, amicale, familiare).

In secondo luogo, è molto efficace per gestire un vissuto d’ansia imparare a osservare i propri pensieri dall’esterno, quali sono i momenti in cui si entra in uno stato ansioso e qual è o quali sono i comportamenti messi in atto in risposta all’ansia (conseguenze). Valutare poi l’intensità delle emozioni è altresì importante, e su questo può aiutare il cosiddetto termometro dell’ansia: su una scala da 0 a 10, dove 0 equivale a per niente e 10 al massimo grado, quanto viene percepita l’ansia in una determinata situazione? Dare un valore servirà a paragonare le situazioni scatenanti e anche a relativizzare il vissuto provato in un determinato contesto.

Lo step successivo sarà poi quello di cercare di individuare delle soluzioni: spesso non si troveranno soluzioni ottimali, ma c’è sempre una soluzione sentita come migliore delle altre, o la meno peggio delle altre. Per individuarla sarà importante prendere in considerazione tutte le soluzioni ipotizzate, scriverne pro e contro (alcune domande in aiuto: che benefici e che limiti comportano? Cosa comporterebbe attuarla? Che emozioni porterebbe attuarla? Chi potrebbe essere d’aiuto per attuarla? È qualcosa che già si sa fare o richiede nuove competenze? Che conseguenze potrebbe comportare attuarla?).

Diverso è se si vive un attacco di panico, più o meno intenso: in quel caso la prima cosa da fare è fermarsi e cercare di mettere in pratica delle tecniche di respirazione (che vengono insegnate nel corso della psicoterapia); inoltre, un’altra tecnica è quella della scansione corporea, che aiuta a riprendere la percezione e la consapevolezza di ogni singola parte del proprio corpo. È importante, poi, saper aspettare che passi: l’attacco di panico ha una durata limitata nel tempo e dopo una fase iniziale e un apice, in cui i sintomi raggiungeranno la loro massima intensità, si tornerà a uno stato di attivazione iniziale.

Sia per il vissuto d’ansia che per l’attacco di panico una cosa molto utile è imparare a prevedere i sintomi, o ad anticipare il proprio funzionamento ansioso, per poter ridurre sempre di più la finestra di sofferenza. Anche questa è una competenza che si acquisisce con il tempo, imparando a osservarsi dall’esterno, ad acquisire consapevolezza di sé, dei propri vissuti e dei propri pensieri, spesso dopo un adeguato percorso psicoterapico.

È importante, infine, avere delle maniglie affettive (amici, parenti, coniugi, fidanzati) che possano supportare e accogliere questi momenti di particolare sofferenza, ma è importantissimo capire che queste figure, seppur indispensabili, non hanno gli strumenti per poter offrire un aiuto terapeutico, importante e necessario per il cambiamento e per andare verso un miglioramento della propria qualità di vita.

Gli attacchi di rabbia, in un periodo di forte stress, sono manifestazioni di un malessere? La psicoterapia può aiutare?

La rabbia è un’emozione diversa dall’ansia, anch’essa molto intensa e spesso si presenta a scopo difensivo. La rabbia, a seconda dell’intensità, viene classificata in normale, ovvero sentita in reazione ad una situazione specifica; patologica, se rappresenta uno stile relazionale e un modo di funzionare costante e duraturo nel tempo; inoltre, nel continuum troviamo l’ostilità, ovvero un modo di funzionare basato sul conflitto e il comportamento collerico, se invece la persona vive spesso degli attacchi improvvisi di collera.

Prima di andare ad intervenire sulla rabbia, è necessario, come per il vissuto di ansia, capire che funzione ha la rabbia per chi ne soffre: da cosa ci si è difesi, in passato, attraverso la rabbia? È stata una medicina usata per curare quale sofferenza? Inoltre, è necessario giungere alla consapevolezza dei pattern di funzionamento interiorizzati: che tipo di relazioni la persona ha vissuto? Dove ha sperimentato rabbia? Dove ha imparato che arrabbiarsi poteva servire a difendersi da qualcosa?

La psicoterapia aiuta moltissimo, una volta raggiunta la consapevolezza dei significati individuali e relazionali della rabbia, a trovare dei modi di stare con l’altro più funzionali, meno stressanti e che portano a un significativo miglioramento della qualità della vita. Si lavora in psicoterapia andando a lavorare sulla connessione tra pensieri, schemi cognitivi e vissuti emotivi, con l’aiuto di alcune tecniche psicoterapiche come, per esempio, l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing).

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