Sulla rivista Nature è stato pubblicato uno studio circa la pericolosità di una terapia medica a base di ormone della crescita umano, che pare essere collegata alla trasmissione di una proteina associata al morbo di Alzheimer, in un certo numero di pazienti.
Gli studiosi affermano che è possibile che semi di beta-amiloide, una proteina legata alla malattia neurodegenerativa, possano essere trasmessi tramite procedure mediche. Il professor John Collinge dell’University College di Londra e i suoi colleghi hanno analizzato il cervello di 8 defunti a causa della malattia di Creutzfeldt-Jakob, di età compresa tra i 36 e i 51 anni, a seguito di un trattamento con prioni contaminati dell’ormone umano della crescita.
Il trattamento consisteva nell’estrarre gli ormoni della crescita dal cervello di cadaveri, iniettandolo ad individui con problemi di crescita, in genere durante l’infanzia. La terapia è fuorilegge dal 1985 a causa del rischio di trasmissione del prione. Il professor Collinge ha trovato nell’encefalo di 7 degli 8 cadaveri da lui analizzati, alti valori di proteina beta-amiloide, che sono comuni in persono affette da malattia di Alzheimer, mentre ben 4 presentavano diffusi depositi della proteina.
I rischi riscontrati
Il beta-amiloide si può accumulare con l’età nel cervello, ma i casi presi in esame erano di persone nella fascia 36-51 anni. Anche se non comparivano tracce della proteina tau, altra caratteristica dell’Alzhaimer, gli studiosi pensano che, se fossero vissuti più a lungo, queste persone avrebbero potuto sviluppare la malattia. Proprio a causa di questi risultati, il professor Collinge e i suoi colleghi pensano che esista la possibilità che i semi del beta-amiloide possano essere stati trasmessi attraverso queste procedure mediche.
Il morbo di Alzheimer, che colpisce, negli Stati Uniti una persona ogni 67 secondi, è la più diffusa forma di demenza, e non ci sono cure per rallentarla, prevenirla o curarla.
Il prof. Collinge continua dicendo che, potenzialmente, i semi della malattia potrebbero aderire alle superfici metalliche degli strumenti chirurgici rendendo rischiose terapie, come ad esempio i trattamenti canalari in odontoiatria, dove c’è un contatto col tessuto nervoso. Resta il fatto che la malattia non è contagiosa, anche se questo nuovo campo di studi va approfondito.
Il dr. Doug Brown, direttore della ricerca presso la Società dell’Alzheimer del Regno Unito, fa notare che si gli studi effettuati sono interessanti e meritano ulteriori indagini, ma allo stesso tempo il campione analizzato è piccolo e ci sono troppe domande ancora senza risposta per giungere a conclusioni definitive circa una possibile trasmissione della patologia tramite procedure mediche.