Allattare al seno può diventare complicato in alcune circostanze, e non solo quando la neo mamma che lavora non riesce a gestire l'allattamento per via degli orari di lavoro bensì anche quando la quantità e la qualità del suo latte potrebbe essere pregiudicata da uno stile di vita malsano, a causa di lavori e contesti aziendali.
Sia nel caso degli orari da dedicare all'allattamento, sia quando l'ambiente o le mansioni da svolgere rappresentano un fattore di rischio per la salute psicofisica, esiste una normativa a tutela della neo mamma.
La legge riconosce alle neo mamme il diritto alle pause regolari per allattare, il diritto a un ambiente di lavoro sicuro e all'eventuale adattamento delle mansioni, se il lavoro attuale presenta rischi per la salute. In caso questo adattamento non fosse possibile, si può richiedere il congedo temporaneo dal lavoro per una durata di 7 mesi, in genere, retribuito al 100%.
Vediamo cosa si intende per allattamento a rischio, la normativa che regola questa condizione, chi e come può fare domanda.
Allattamento a rischio, cos'è e cosa significa
L'allattamento a rischio è una condizione in cui il contesto o le mansioni lavorative svolte dalla donna nel periodo dell'allattamento al seno possono risultare nocive fino a danneggiare la sua salute e quella del bambino.
Si può trattare di ambienti molto affollati ed esposti alla maggiore diffusione di virus e batteri, oppure al contatto con sostanze inquinanti.
Tutte queste circostanze rappresentano concreti fattori di rischio riconosciuti dalla stessa legge italiana come tali al fine di proteggere sia la madre sia il neonato durante il periodo di allattamento.
La normativa in merito prevede la possibilità di svolgere un tipo di lavoro differente e più adatto o, in alternativa, un congedo retribuito ovvero la sospensione del lavoro per un periodo stabilito in base alle proprie condizioni, ma comunque retribuito con il consueto stipendio.
Legge sull’allattamento a rischio
È importante conoscere la legge sull’allattamento a rischio perché fornisce diritti e protezione alle madri lavoratrici. Questa legge, il decreto legislativo n. 151 del 26 marzo 2001 è contenuta nel Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro, stabilisce che le madri hanno diritto a una valutazione dei rischi sul posto di lavoro e a un adattamento delle loro mansioni, se necessario, per proteggere la loro salute e quella del bambino.
Allattamento e lavoro, i principali fattori di rischio
Il lavoro può influire sull'allattamento in vari modi. Non solo metterne a repentaglio la salute fisica ma anche quella psicologica.
Per fare esempi concreti di lavori e/o contesti che possono rappresentare un rischio elevato per l'allattamento al seno, l'esposizione a sostanze chimiche nocive, radiazioni, forti rumori, caldo o freddo eccessivi, lo stress fisico o mentale, gli orari di lavoro (per esempio i turni di notte) che possono sovrapporsi con l'allattamento oltre a essere faticosi e stressanti.
Quando si presenta un rischio per l'allattamento, è compito del datore di lavoro esaminare attentamente tali circostanze e trovare una soluzione. Se non è possibile mitigare il rischio, in alternativa si avrà la responsabilità di concedere un congedo dal lavoro per un periodo di tempo adeguato.
I fattori di rischio per l'allattamento
Agenti fisici
Si tratta di mansioni e/o contesti professionali che espongono ad alcune condizioni considerate fattori di rischio per l'allattamento:
- radiazioni ionizzanti
- forti rumori, oltre i 90 decibel
- sbalzi di temperatura estrema, molto calda o fredda.
In questi casi, la neo mamma ha diritto ai provvedimenti per l'allattamento a rischio per una durata di 7 mesi dopo il parto.
Agenti biologici
La durata di 7 mesi si applica anche alle neo mamme che per lavoro devono entrare in contatto con potenziali rischi di malattie infettive, in contesti come quelli scolastici, sanitari, aziende agricole, allevamenti di bestiame.
Agenti chimici
Allo stesso modo, la durata dei 7 mesi di tutela per allattamento a rischio si applicano alla donna che lavora in ambienti dove si fa uso di prodotti contenenti agenti chimici, tra i quali vernici, solventi, gas, polveri, fumi, mercurio e derivati, piombo e derivati, pesticidi, sostanze tossiche, corrosive, esplosive o infiammabili.
Lavori stressanti per altre ragioni
Alcuni lavori comportano un eccessivo affaticamento fisico e mentale quando richiedono di trascorrere molte ore su mezzi di trasporto quali treni, autobus o navi. In questi casi, la prolungata esposizione ad alcune posture scorrette e a forti vibrazioni prevede la tutela della mamma che allatta fino a 3 mesi dopo il parto. In circostanze più estreme, si arriva anche alla durata di 7 mesi.
Nell’art.7, viene citato il divieto di sottoporre le lavoratrici a mansioni che prevedano il trasporto e/o il sollevamento di pesi, sia durante la gestazione sia nella fase di allattamento post-parto.
Mentre per i turni di notte, che coprono un arco temporale dalle 24 alle 6, la copertura prevista per l'allattamento a rischio arriva anche ai primi 12 mesi di vita del bambino, fino a 3 anni su richiesta e fino a 12 anni, nel caso in cui la mamma fosse single.
Allattamento a rischio: durata del congedo dal lavoro
La durata dell'allattamento a rischio varia a seconda della situazione individuale, ma in generale la normativa può applicare provvedimenti che durano fino a quando il bambino ha compiuto 12 mesi.
Allattamento a rischio, chi può fare domanda, quando e come presentarla
In generale, la neo mamma che può presentare domanda per il riconoscimento della condizione di allattamento a rischio appartiene a queste categorie di lavoratrici:
- operaie
- cuoche e cameriere
- parrucchiere
- commesse
- medici e infermiere
- insegnanti ed educatrici
- operatrici in comunità e operatrici socio-sanitarie,
- collaboratrici domestiche o scolastiche
- e lavori simili a questi.
Tutti i settori considerati rischiosi per l'allattamento
- settore scolastico
- settore industriale
- settore della sanità
- settore ristorazione e commercio alimentare
- settore dell’agricoltura
- settore estetico e parrucchiere
- settore alberghiero
- settore collaborazione domestica.
Quando fare domanda
La legge prevede che la neo mamma entri in congedo di maternità per i primi 3 mesi, dopo aver presentato il certificato di nascita al datore di lavoro entro 30 giorni dalla nascita del bambino. I mesi salgono 4, qualora la donna incinta abbia lavorato fino all'ottavo mese di gravidanza.
Al rientro dal congedo di maternità, la lavoratrice e il datore di lavoro devono valutare l'esistenza di eventuali rischi per l'allattamento. In questo caso, la dipendente assumerà un incarico non a rischio, fino a quando il bambino non avrà compiuto 7 mesi.
La domanda per usufruire del cambio mansione si deve inoltrare alla DTL (Direzione Territoriale del Lavoro) di competenza del comune di svolgimento dell’attività lavorativa, compilando i moduli disponibili sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Se non è possibile assegnare alla madre un ruolo differente, sarà necessario inoltrare istanza scritta alla Direzione Territoriale del Lavoro competente per richiedere l'astensione dal lavoro post partum (scaricando il modulo da questa pagina ispettorato.gov ) fino al settimo mese del neonato.
Questo tipo di interdizione obbligatoria prevede una retribuzione al 100%, anticipata dal datore di lavoro e successivamente rimborsata dall'INPS.
Dati e informazioni da inserire nella domanda
L'istanza deve contenere i dati anagrafici della persona interessata:
- nome e cognome
- data e luogo di nascita
- residenza, via/piazza, numero civico
- telefono, e-mail
- codice fiscale
- riferimenti alla ditta/società/amministrazione
- sede legale e sede di svolgimento del lavoro (comune, provincia, cap, via, numero civico, telefono, fax, e-mail).
Nella domanda si deve specificare anche il settore, privato o pubblico; la tipologia di contratto (a tempo indeterminato o determinato + la scadenza, o altro); il ruolo (operaia, impiegata, quadro, dirigente); orari di lavoro e giorni settimanali, eventuali turni o tempo parziale indicando giorni e orari di lavoro; assenze per malattie o ferie.
Infine, deve essere presente la richiesta relativa all’interdizione dal lavoro fino al 7° mese dal parto indicandone la data.
I documenti da allegare alla domanda per allattamento a rischio
- certificato di nascita del figlio o autocertificazione ai sensi del DPR 445/2000
- dichiarazione del datore di lavoro con l’indicazione della mansione in oggetto e fattore di rischio, precisando che non è stato possibile attribuire alla dipendente altro genere di ruoli per via dello stesso assetto aziendale
- DVR redatto dal datore di lavoro
- se richiesto, un certificato medico del medico del lavoro.
Nell’istanza, la lavoratrice deve dichiarare di avere presentato al proprio datore di lavoro il certificato medico di nascita e la data di presentazione dello stesso.
Nel caso in cui la domanda venisse rifiutata da parte della DTL, è possibile presentare ricorso via PEC o raccomandata R.R. entro 10 giorni.
Allattamento a rischio INPS
Quando si verifica una situazione di allattamento a rischio in cui non è possibile assegnare alla madre un ruolo differente, l'INPS diventa parte integrante del processo.
L'INPS entra in gioco nel caso in cui non sia possibile assegnare alla madre un ruolo differente e quindi sia necessario esonerarla dal lavoro fino al settimo mese del neonato. La retribuzione al 100% sarà inizialmente anticipata dal datore di lavoro e successivamente rimborsata dall'INPS.