La disparità di retribuzione che riguarda le donne non si riferisce solo a quello che normalmente percepiamo come occupazione.
C’è un’altra tipologia di mansione, un impegno che dura per anni e che ha da sempre caratterizzato la vita delle donne, che è tuttora un elemento indispensabile nella quotidianità tanto quanto invisibile alle istituzioni e al contesto culturale: il lavoro di cura.
Vediamo in questo approfondimento, con dati e commenti, qual è la situazione.
Precariato, salari più bassi e lavoro di cura sulle spalle: facciamo il punto
Maurizia Russo Spena, ricercatrice sociale del sindacato Clap, ha spiegato che la povertà di genere può essere compresa meglio analizzando il lavoro femminile e femminilizzato.
Le donne sono esposte a un rischio maggiore di povertà a causa di diversi fattori: la loro partecipazione diseguale al mercato del lavoro, la minore presenza nei settori scientifici e tecnologici avanzati e la frequente discontinuità dei loro rapporti di lavoro, caratterizzati da contratti part-time, temporanei e precari.
Inoltre, la maternità e la distribuzione delle responsabilità di cura giocano un ruolo cruciale: la maggior parte del lavoro di cura non retribuito grava sulle donne e solo il 20% dei congedi parentali è utilizzato dai padri.
Dopo la maternità, infatti, le donne affrontano maggiori difficoltà nel rientrare nel mercato del lavoro: una su cinque non riesce a rientrare dopo la nascita del primo figlio e il 60% subisce una riduzione dell'orario di lavoro, poiché il reddito femminile è ancora considerato secondario.
Il rapporto mondiale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL o IOL) del 2018 sul lavoro dignitoso e le prospettive occupazionali legate all’assistenza e cura alla persona mostra chiaramente come la maternità penalizzi l'occupazione femminile, mentre la paternità la favorisce: l'Italia, pur essendo tra i paesi con il più alto tasso di occupazione in Europa, evidenzia forti disuguaglianze di genere, soprattutto per le donne che si occupano di cura e assistenza.
Le disparità di genere nel mercato del lavoro italiano sono ancora più evidenti se confrontate con nazioni europee come la Francia e la Germania: in questi paesi la quota di lavoro non retribuito dedicato all'assistenza e alla cura, svolto dalle donne, è inferiore di oltre 10 punti percentuali (61% in Francia e 62% in Germania).
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Dunque, il lavoro di cura non retribuito incide negativamente sul reddito delle donne, limitandone le ore di lavoro retribuito e la possibilità di risparmiare per il futuro: ad esempio, le madri con tre o più figli sotto i 6 anni lavorano in media tre ore in meno rispetto alle donne senza figli piccoli e ben nove ore in meno rispetto agli uomini senza figli. Questa differenza di ore lavorate comporta minori contributi previdenziali e, di conseguenza, pensioni più basse.
Nonostante ciò, considerando il lavoro di cura e assistenza, non solo a figli e marito, ma spesso anche ai genitori anziani e malati, anche del proprio coniuge, la giornata lavorativa delle donne è in media più lunga (6 ore e 48 minuti) rispetto a quella degli uomini (5 ore e 31 minuti).
“Il carico mentale” sostiene Daniela Brogi, docente di Letteratura italiana contemporanea all'Università per Stranieri di Siena e autrice, tra gli altri, del libro Lo spazio delle donne, “riguarda il modo in cui la cultura circostante e il senso comune portano le donne a considerare ancora le loro arti, mestieri e professioni, come situazioni che le sottraggono e distolgono dal loro presunto compito principale di cura domestica, generando un sentimento continuo di scissione e relative situazioni di stanchezza che indeboliscono tutto il sistema.”
La conseguenza inevitabile, vista la mancanza di aiuto, è quella di arrivare a trascurare i propri interessi personali e persino la propria salute, nel tentativo di conciliare le esigenze familiari e professionali.
Il cambiamento è troppo lento, ma uno spiraglio c’è
Ma negli anni sta avvenendo un miglioramento? Nì, ma si registra un cambiamento perlomeno dal punto di vista generazionale: lo studio globale del 2019 Lightening the Mental Load That Holds Women Back condotto da BCG (Boston Consulting Group), che analizza in dettaglio il peso delle responsabilità familiari sulle donne e il loro impatto sulla conciliazione tra vita privata e lavoro, fornisce un quadro complesso con segnali di cambiamento.
In particolare, le donne di 45 anni si trovano a fronteggiare un carico di lavoro domestico 2,6 volte superiore rispetto ai loro coetanei uomini, evidenziando una disparità significativa nella distribuzione delle responsabilità; invece, per le donne più giovani, nella fascia d'età 18-34 anni, questa disparità si riduce a 1,5 volte.
Inoltre, altre notizie incoraggianti arrivano da 4e-parent, un progetto europeo coordinato dall’Istituto superiore di sanità (Iss) con l’obiettivo di promuovere la paternità accudente che il 28 novembre 2024 ha condiviso i risultati di un lavoro durato due anni.
“Indubbiamente è in atto un cambiamento, la costruzione di una nuova narrativa, sostenuta soprattutto dai più giovani, dalla nuova generazione”, ha spiegato Mara Marzella, della società di consulenza Deep Blue. “Su Instagram e Tik Tok si moltiplicano le testimonianze di padri coinvolti e di madri che apprezzano questo coinvolgimento, anche se non mancano le contraddizioni e qualche rigidità da parte delle stesse madri nell’accettare nuove dinamiche”.
“La stampa ha parlato dei nostri eventi e più in generale i media tradizionali stanno cominciando a recepire il cambiamento sociale in atto, benché a volte abbiano delle difficoltà a scrollarsi di dosso vecchie modalità di comunicazione, come quella di chiamare ‘mammo’ il padre accudente”, ha aggiunto Eva Benelli, di Zadig, agenzia giornalistica ed editoriale.
Anche l’indagine condotta sui dipendenti di 6 aziende ha evidenziato grande interesse da parte di neogenitori e futuri genitori, come spiegato da Maddalena Cannito, sociologa dell’Università di Torino: “I risultati del sondaggio hanno dimostrato la necessità di diffondere consapevolezza tra i lavoratori sui diritti della paternità oltre che della maternità. Tanti interpellati hanno ammesso di non avere utilizzato i congedi perché non ne erano informati. È necessario un cambiamento di cultura nei luoghi di lavoro per prevenire la discriminazione dei neo-papà che vogliono dedicare tempo e impegno alla cura dei figli e delle figlie, insieme a una maggiore retribuzione dei congedi parentali e flessibilità degli orari e degli impegni.”