Il cadmio un metallo brillante, color bianco-argento, dello stesso gruppo dello Zinco cui assomiglia, infatti è un sottoprodotto della fusione dello zinco dal relativo minerale, la sfelerite (ZnS), il 75% del cadmio usato trova impiego nelle batterie di nichel/cadmio; la parte più rilevante del quarto restante trova uso nei rivestimenti (specie marini e spaziali), fornendo una buona resistenza alla corrosione.
Il cadmio viene anche usato per placcare l'acciaio. Circa 25.000 tonnellate di cadmio sono scaricate nell'ambiente di cui la metà dall'erosione di rocce, in piccola parte da incendi boschivi e vulcani, mentre il resto è dovuto allo scarico di prodotti di attività umana, sia industriali che da combustione di rifiuti domestici e combustibili fossili, produzione di fertilizzanti a base di fosforo.
L'avvelenamento da cadmio avviene quando il cadmio viene assorbito per via cutanea, alimentare o aerea. Esso può interferire nella produzione di insulina e nel metabolismo del testosterone, con possibilità di diabete, problemi alla prostata e impotenza.
Il cadmio sostituisce lo zinco nelle arterie rendendole meno flessibili e creando disturbi cardiovascolari come l’ipertensione.
Il fumo del tabacco trasporta il cadmio nei polmoni, un pacchetto di 20 sigarette può portare all'inalazione di circa 2-4 mg di cadmio. Per i non fumatori la via principale per l'esposizione è attraverso gli alimenti I cibi ricchi in cadmio, che posson aumentare la concentrazione di cadmio nel corpo; occorre anche sapere che il cadmio è biopersistente e rimane negli esseri umani anche per decine di anni) si può trovare in: fegato, funghi, crostacei, mitili, polvere di cacao ed alghe secche).
L’intossicazione da cadmio può essere combattuta con: calcio, selenio, ma oprattutto con zinco.
Gli squilibri tra zinco e il cadmio possono creare problemi per la formazione dello sperma.
La maggior parte degli studi hanno evidenziato che una esposizione cronica ai fumi o alle polveri di cadmio può portare allo sviluppo di numerose patologie respiratorie. Tra queste troviamo broncopneumopatie croniche ostruttive ed enfisemi. Altri studi, invece, non hanno notato collegamenti tra esposizione al cadmio e malattie respiratorie (Hendrick 1996; ATSDR 1999).
Ci sono anche altre indagini che sostengono che gli effetti dell’esposizione possono andarsene se cessa l’esposizione stessa (ATSDR 1999).
Tutti esaminano il ruolo del cadmio nello sviluppo di broncopneumopatie croniche ostruttive (BPCO) nei fumatori (ATSDR 1999). Lo studio più recente (Mannino et al. 2004) ha mostrato che i fumatori (più o meno incalliti) possiedono quantità di cadmio più alte rispetto ai non fumatori e che all’interno dei fumatori il livello di cadmio è legato a danni polmonari dovuti al fumo. Gli autori hanno così concluso che il cadmio probabilmente incide nello sviluppo di malattie polmonari legate al tabacco. Tuttavia, su questo argomento dovranno essere svolti ulteriori studi.
Infine, una inalazione cronica di cadmio sembra essere alla base dello sviluppo del cancro ai polmoni (Sorhan and Esmen 2004; Verougstratete et al 2003). Altri disturbi respiratori dovuti ad una esposizione continua al cadmio includono:
Negli animali, ingestioni croniche di cadmio causano un aumento della pressione sanguigna sistemica (massima) senza effetti renali. Ciò è stato collegato con una diminuzione nel sangue e nei tessuti dei livelli di peptide natriuretico atriale, aumento dei livelli di aldosterone nel sangue e ritenzione di acqua e sodio. Tutto ciò porta a pensare che nell’uomo un’esposizione cronica al cadmio possa portare a ipertensione.
Molti studi si sono concentrati su questo argomento: lo studio Cadmibel (effettuato sulla popolazione riguardo l’esposizione a bassi livelli di cadmio) non ha trovato effetti del cadmio sulla pressione sanguigna. Un recente follow-up dello studio Cadmibel, il Pheecad, ha riscontrato le stesse conclusioni (Staessen J. et al 1999).
Tuttavia, indagini più recenti (Navas-Acien et al. 2004, 2005) hanno riscontrato il ruolo del cadmio e altri metalli pesanti nello sviluppo di patologie delle arterie periferiche. Infatti, gli effetti del fumo sulle patologie delle arterie periferiche diminuiscono dopo aver aggiustato i livelli di cadmio.
I reni sono gli organi principalmente colpiti dall’esposizione al cadmio. Il cadmio, infatti, ha una nefrotossicità che deriva sia dalla sua inalazione che dalla sua ingestione. Alcuni dati mostrano che esiste un periodo di non sintomatologia di circa 10 anni che può anche variare a seconda dei livelli di esposizione. Tuttavia, sono stati stati descritti danneggiamenti renali negli animali a seguito di una esposizione acuta, mentre negli umani si è rilevata una condizione patologia renale (necrosi corticale) anche a seguito di una sola esposizione a alti livelli di cadmio.
Tipicamente, un’esposizione cronica al cadmio porta a disfunzioni dei tubuli renali. I primi segnali di danno al rene sono quando si ha un valore di cadmio pari a 2 microgrammi per grammo di creatinina con conseguente proteinuria. I biomarcatori sono B2-microglobulina e A1-microglobulina. A livelli di cadmio nelle urine pari a 4 microgrammi per grammo di creatinina gli enzimi come N-acetil-B-glucosaminosidasi (NAG) sono presenti nelle urine in grande quantità e segnalano un danno glomerulare. Negli stadi finali delle nefropatie da cadmio si ha glicosuria (glucosio nelle urine), eccessiva eliminazione di fosfati e di calcio e un metabolismo del calcio alterato con conseguenze anche sulle ossa tra cui osteoporosi e osteomalacia. Le nefropatie da cadmio sono una delle cause di morte dei lavoratori che sono a contatto con il cadmio.
Nonostante il cadmio si accumuli nelle ossa, si pensa che i danni allo scheletro siano un effetto secondario dovuto all’alterazione del metabolismo del calcio a seguito di danni renali (ATSDR 1999). In clinica, lesioni ossee solitamente si manifestano tardivamente a seguito di una importante intossicazione da cadmio e si presentano come pseudofratture e altri effetti di osteomalacia e osteoporosi. Le pseudofratture sono delle fratture spontanee che solitamente si manifestano a livello osseo dove scorrono le arterie che con la loro pulsazione sollecitano il tessuto, rompendolo.
Lo studio OSCAR in Svezia ha esaminato se l’esposizione ambientale al cadmio potesse essere un fattore di rischio per una diminuzione della densità minerale nelle ossa (Jarup et al. 2000; Alfven et al. 2002, 2004). Gli autori dello studio hanno rilevato una relazione negativa tra cadmio nelle urine e densità ossea. Gli effetti sullo scheletro sembrano derivare da un’inibizione renale dell’idrossilazione della vitamina D, che quindi rimane nella sua forma non funzionale (Nogawa et al. 2004). Altri studiosi sostengono che il cadmio impedisca un corretto assorbimento del calcio nel tratto gastrointestinale. Secrezioni elevate di prostaglandine E2 possono contribuire al riassorbimento osseo.
La malattia “itai-itai”, conosciuta anche come malattia “ouch-ouch”, è stata descritta per la prima volta in donne giapponesi in menopausa e che nel corso della loro vita erano state esposte ad alti livelli di cadmio. Queste donne erano intossicate dal cadmio poiché mangiavano cibi derivanti da terreni contaminati dal metallo stesso (Ikeda et al. 2000; Watanabe et al. 2000).
I sintomi di questa patologia sono:
Vi sono dati discordanti riguardo la possibilità di anemia modesta causata dal cadmio, tuttavia sono stati descritti anosmia e ingiallimento dei denti.
Negli animali il cadmio è in grado di oltrepassare la placenta e quindi causare danni al nascituro. Durante la fase finale della gestazione, dosi di 2.5mg/kg di cadmio causano danni molto gravi alla placenta con conseguente morte del feto.
Non è ancora stata riportata la possibilità di danni fetali in gestanti esposte al cadmio per lavoro. Tuttavia, è stato osservato che le gestanti con più alti livelli di cadmio nelle urine erano predisposte a partorire prima del termine, rispetto alle gestanti non esposte al cadmio. Inoltre, queste gestanti intossicate, davano alla luce neonati con un peso inferiore rispetto alla norma, ma questa casistica è stata associata più al parto prematuro (Nishijo et al. 2002).
Altri studi, invece, non hanno evidenziato parti prematuri dovuti all’intossicazione da cadmio (Zhang et al. 2004). Allo stato attuale, i danni causati dal cadmio durante la gravidanza sono ancora non verificati e sono quindi necessari altri accertamenti