Dai risultati di una survey che ha coinvolto oltre 11mila donne lavoratrici dipendenti e autonome riguardo le discriminazioni e la violenza sulle donne nel mondo del lavoro, promossa da Fondazione Libellula, all’interno dell’ebook del 2024 "Ti tocca", risulta che il 40% delle donne ha subito contatti fisici indesiderati sul posto di lavoro.
Rispetto al 22% registrato nella survey del 2022, si è assistito, dunque, a un preoccupante aumento dell'81% dei casi di commenti sul corpo che mettono a disagio le donne in ambito lavorativo.
In particolare, il 77% delle manager e il 75% delle dirigenti ha dichiarato di subire frequentemente o occasionalmente questo tipo di molestia; inoltre, le donne tra i 30 e i 44 anni, soprattutto quelle senza un partner stabile e quelle che lavorano in piccole aziende, sembrano essere le più vulnerabili.
Di molestie e aggressioni ai danni delle donne nel mondo del lavoro se ne sta cominciando a parlare (si pensi al grande lavoro di denuncia in ambito pubblicitario a opera di Re:B @rebcollective), ma abbiamo contattato l’avvocata Stefania Crespi per risolvere diversi dubbi per quanto riguarda terminologia, reati e tutele attuabili.
Avvocata Crespi, ci parli di lei e del suo principale ambito d'azione in campo legale
Sono un avvocato penalista, cassazionista milanese. Sono esperta di Diritto Penale della Famiglia e, in particolare, di maltrattamenti in famiglia (la c.d. violenza domestica) e di stalking.
Mi occupo di violenza di genere: difendo le vittime, comprese le persone offese da reati che vengono commessi sul luogo di lavoro.
Svolgo molte attività, in un’ottica di prevenzione della violenza di genere, nelle scuole, nelle aziende e, attraverso la mia pagina Instagram @avvcrespi, cerco di fare divulgazione.
Mobbing, straining, facciamo chiarezza: quali sono le differenze?
Il mobbing - termine che deriva da “to mob”, ossia assalire - è la continuativa e sistematica condotta vessatoria del datore di lavoro (mobbing verticale o bossing) o dei suoi dipendenti (mobbing orizzontale) finalizzata a perseguitare un lavoratore o una lavoratrice allo scopo di isolarlo/a, maltrattarlo/a, umiliarlo/a e, generalmente, portarlo/a alle dimissioni.
Il lavoratore subisce un evento lesivo della salute, della personalità o della dignità e non riesce a proseguire l’attività lavorativa; deve sussistere il nesso eziologico tra le condotte e tale pregiudizio subito nella propria integrità psicofisica e dignità.
Il termine straining deriva da "to strain" e significa stringere, mettere sotto pressione, distorcere e viene definito come forma attenuata di mobbing, una situazione di stress sul posto di lavoro, dovuta ad almeno una azione scientemente attuata nei confronti di un dipendente nell'ambiente lavorativo.
In realtà non si tratta né di stress occupazionale (perché la vittima soffre di ansia, depressione), né di mobbing, perché mentre per lo straining è sufficiente una sola azione, per il mobbing occorre una sistematicità delle vessazioni.
Integrano reato? Come ci si difende?
Il mobbing nel nostro ordinamento non è previsto come reato da una norma specifica; tuttavia le condotte del datore di lavoro possono assumere rilevanza da un punto di vista penale se, in concreto, viene realizzata una fattispecie, come il reato di lesioni (sia colpose, sia dolose), minaccia, diffamazione.
Se con la condotta vessatoria si determina o rafforza per colpa nel lavoratore una tendenza suicidaria, potrebbe essere contestato il reato di omicidio colposo.
In casi di mobbing la Cassazione ha ritenuto sussistente anche il reato di maltrattamenti (nonostante sia solitamente collegato al contesto familiare, ai rapporti di educazione, istruzione e cura); infatti, generalmente la Cassazione collegava i maltrattamenti a un ambiente lavorativo ristretto, riconducibile a una famiglia (ad esempio una farmacia).
Tuttavia, ha poi riconosciuto la sussistenza dei maltrattamenti per atti mobbizzanti, anche rispetto a contesti aziendali grandi, purché il rapporto tra datore di lavoro e il dipendente abbia una natura “para-familiare”.
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Le condotte di straining possono integrare diversi reati come lesioni personali, la violenza sessuale, violenza privata, minacce, molestia o disturbo alle persone.
Per il mobbing occorre fare una causa di lavoro: il lavoratore dovrà provare la sistematicità della condotta del datore di lavoro e il suo intento persecutorio, altrimenti alcuna responsabilità potrà essere ascritta al medesimo e non potrà essere ottenuto alcun risarcimento.
Quando ci sono gli estremi di un reato occorre presentare querela (ad esempio per lesioni) o denuncia (ad esempio se la condotta integra il delitto di maltrattamenti).
Esiste lo stalking lavorativo? Come ci si tutela?
Lo stalking in campo lavorativo prende il nome di stalking occupazionale: il lavoratore viene perseguitato con minacce o molestie dal datore di lavoro, superiore gerarchico o da un collega, che crea ansia, paura o l’alterazione delle abitudini di vita quotidiane della vittima, per motivazioni derivanti dal rapporto di lavoro.
Quindi nasce in ambito lavorativo, ma giunge a incidere sulla vita privata della vittima, e proprio per questo è diverso dal mobbing che si realizza sul posto di lavoro.
Per lo stalking si può presentare querela ed è previsto un termine di 6 mesi (e non di 90 giorni); il mio consiglio è quello di tenere tutte le prove: messaggi, mail, testimoni, etc.
C’è molta confusione tra il concetto di molestie, molestie sessuali e violenza sessuale. Ci può spiegare le differenze?
Partiamo da un presupposto essenziale: la molestia sessuale non prevede contatti con parti intime o zone erogene ed è integrata da ogni comportamento indesiderato a sfondo sessuale avente lo scopo o l’effetto di violare la dignità e di creare un clima intimidatorio, ostile o degradante; nel caso di contatto con parti intime o zone erogene (bocca, cosce, fianchi) e senza la presenza del consenso si commette violenza sessuale.
Quindi, ricapitolando: baci, “palpeggiamenti”, sfregamenti integrano violenza sessuale (attenuata); espressioni volgari, aggressioni verbali, “complimenti” indesiderati o offensivi, contatti fisici fastidiosi, gesti o ammiccamenti costituiscono molestie.
Soprattutto i giornalisti parlano di molestie con riferimento a situazioni che sono invece esempi di violenza sessuale e occorre prestare molta attenzione a non confonderle, tenuto conto che le molestie sono una contravvenzione (o, se ne sussistono gli estremi, quindi paura o cambiamento delle abitudini di vita, stalking) e la violenza sessuale è un delitto, dunque ben più grave. Bisogna anche ricordare che la violenza sessuale comprende tutti gli atti sessuali (e non solo lo stupro).
Le molestie sessuali sul lavoro sono inoltre considerate “discriminazioni di genere” secondo il d.lgs. 198/2006 (Codice delle Pari Opportunità). Inoltre, secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), le molestie consistono in “pratiche e comportamenti inaccettabili […] che causino o possano comportare un danno fisico, psicologico, sessuale o economico”, “una violazione o un abuso dei diritti umani” “una minaccia per le pari opportunità”.
Con riferimento alle molestie sul luogo di lavoro vorrei ricordare che l’Istat ha recentemente pubblicato dei dati in base ai quali sono vittime prevalentemente i giovani e soprattutto le donne (21,2%): nel corso della propria vita il 12,1% delle donne (e l’1,8% degli uomini) subiscono offese (attraverso sguardi inappropriati e lascivi che mettono a disagio, scherzi di natura sessuale, avances inappropriate, invio di messaggi sessualmente espliciti).
Quali sono gli strumenti di difesa (sul lavoro, civili e penali)?
Dal punto di vista penale non esiste uno specifico reato per le molestie sessuali sul lavoro, quindi si applica la norma prevista dall’art. 660 c.p., la contravvenzione di molestie; si può sporgere querela entro 90 giorni dal fatto.
Come dicevo, se sussistono gli estremi si può querelare per stalking, entro 6 mesi dal fatto; mentre in caso di violenza sessuale è possibile presentare la querela entro un anno dal fatto.
Visto che il datore di lavoro ha l’obbligo di tutelare la sicurezza, dignità e la salute psicofisica, deve adottare dei provvedimenti nei confronti del molestatore, come sanzioni disciplinari (lettera di richiamo, licenziamento).
Il datore di lavoro è tenuto ad assicurare condizioni tali da garantire l’integrità fisica e morale e la dignità dei lavoratori, anche organizzando iniziative di natura informativa e formativa opportune al fine di prevenire il fenomeno delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro.
Secondo la Cassazione rivolgere allusioni sessuali turba l’ambiente di lavoro e la serenità della vittima anche se fatto solo per intento goliardico: il molestatore può pertanto essere licenziato per giusta causa.
Il soggetto molestato può far causa per il risarcimento del danno contro il molestatore e anche contro il datore di lavoro e in questo caso non può essere sanzionato, demansionato, trasferito; è possibile presentare anche la denuncia all’Ispettorato del lavoro.
In base alla sua esperienza di avvocata, si stanno facendo dei passi in avanti per contrastare comportamenti tossici nei confronti delle donne sul luogo di lavoro?
Secondo me sì, anche se si può sempre migliorare: prima di tutto la violenza e le molestie sono considerate, come altri rischi psicosociali correlati nella gestione della salute-sicurezza sui luoghi di lavoro.
Inoltre, le aziende stanno adottando policy sulle molestie o codice etici e il canale di segnalazione “whistleblowing”.
Molte aziende hanno aderito alle politiche ESG: una politica aziendale che persegua l’obiettivo di una gestione etica e sostenibile in questi termini non può trascurare i rischi derivanti da fenomeni di violenza di genere e molestie all’interno degli ambienti di lavoro.
Numerose società hanno chiesto (e ottenuto) la Certificazione per la parità di genere, che mira a incentivare le aziende nell’adozione di politiche che promuovano le pari opportunità, riducendo il divario di genere nelle aree più critiche.
Le chiedo dei consigli per aiutare le donne, soprattutto quelle giovani che si approcciano al mondo del lavoro, a gestire situazioni simili
Dai dati che ho citato emerge che la categoria più colpita dalle molestie è quella delle giovani donne.
Certamente la particolarità del contesto in cui vengono poste in essere le molestie potrebbe far provare diversi timori, come quello di perdere il lavoro o di non essere credute.
Ritengo che occorra superare la paura per poter esercitare i propri diritti, parlandone con l’HR o direttamente con il datore di lavoro (se le molestie provengono da colleghi); se, invece, le molestie sono realizzate dal datore di lavoro, meglio affidarsi ad un buon legale per conoscere tutti i passi da compiere per difendersi.
Consiglio, inoltre, di agire tempestivamente per evitare aggravamenti delle condotte.