In vista della Giornata del Fiocchetto Lilla per i disturbi alimentari, abbiamo deciso di posare il nostro sguardo sull'anoressia maschile, un disturbo tanto diffuso quanto ancora troppo ignorato.
Il retaggio culturale legato all'immagine maschile, e in maniera speculare a quella che, secondo la società, dovrebbe essere la personalità del "vero uomo", per la quale non si può essere sensibili o fragili, ci porta, infatti, a sottovalutare la pericolosità dell’incidenza dei DCA anche tra gli uomini.
Abbiamo fatto una chiacchierata con Giacomo Visconti, insegnante e content creator sui social (@giacomo_visconti), che ha voluto condividere con noi il valore del suo punto di vista e della sua esperienza.
Ciao Giacomo, parlaci di ciò che fai nella vita e della tipologia di contenuti che porti sui social
Non sapevo se iniziare con “mi chiamo” o “sono” Giacomo Visconti. Non mi piace il “mi chiamo” perché sono gli altri a chiamarmi, sebbene spesso parli da solo. Non mi piace il “sono” perché mi sento definito. Diciamo così: piacere, perché è un piacere, Giacomo.
Non mi piace definirmi nemmeno per quello che faccio. Insegno, ma prima di tutto, sono una persona curiosa, che si mette al servizio più degli altri che di se stesso.
Amo condividere le mie esperienze sui social, senza regole. A volte perdendo di vista la responsabilità che ho verso una Comunità sempre più grande.
Nel 2022 è uscito un film-documentario, Giallo Evidenziatore, in cui ti racconti e ti apri sulla tematica dell’anoressia: come è nata l’idea?
Manuel De Pandis (regista e co-founder di Black Orange, una società di produzione audiovisiva, NdR) seguiva me e mio marito Fabrizio (Fabrizio Colica, attore e autore, parte del duo "Le Coliche", NdR) sui social e, sapendo del mio trasferimento a Roma, ha voluto raccontare la storia di un salto nel vuoto.
Così, lui, Stefano e il loro progetto Black Orange sono venuti a casa nostra per tre giorni di riprese per realizzare un film del reale.
Girando, il tema che più emergeva con prepotenza è stato quello dei DCA. Evidentemente, avevo urgenza di raccontare altro. E vedermi da fuori è stato l’inizio della guarigione.
Potresti parlarci del tuo percorso di guarigione dai disturbi alimentari?
Come dicevo, il primo grande passo è stato essermi visto da fuori. Non volevo più essere quella persona. E poi ha contribuito tanto il mio trasferimento. Mangiare meno è stato un modo per difendermi dalla mia famiglia, che manifestava affetto tramite il cibo.
Avrei preferito un “ti voglio bene” in più, rispetto a un piatto di pasta. Non ne faccio una colpa; è molto italiana come idea. Lontano da casa, ho reso sano il rapporto con la mia famiglia, e poi con il cibo.
Ora ho qualche residuo di disturbi. Ma non lo definirei un disturbo, ma una mia caratteristica.
Soprattutto in quanto insegnante, pensi che la sensibilizzazione riguardo l’anoressia, nello specifico quella maschile, abbia fatto dei passi avanti? Se ne parla di più, ma nel modo giusto?
Siamo lontani anni luce dalla sensibilizzazione. Ma lontani luce da ogni cosa, da quella ambientale a quella affettiva e sessuale.
Ci riempiamo la bocca di belle parole e tanti progetti, ma ci vorrebbero progetti costanti, sin da piccoli. Invece riduciamo tutto a due ore di educazione civica, per sentirci a posto con la coscienza e con la burocrazia.
Se potessi dare dei consigli al te del passato, quali sarebbero?
Avrei voluto essere autonomo e decidere per me cosa mangiare, quando vivevo con i miei genitori. Ma non sarei stato io, e non sarei qui ad aiutare gli a altri, quindi va bene così.
Non temo il tempo che passa, e mi piace il passato, perché mi ha reso quello che sono. E da buon Narciso, mi piaccio così.