Il valore complessivo dello spreco alimentare domestico ammonta a 6,48 miliardi di euro, secondo i dati di Waste Watcher di gennaio 2023.
Il rapporto evidenzia che lo spreco domestico di cibo è diminuito rispetto alla precedente indagine: nel 2022, infatti, ogni persona ha gettato in media 524,1 grammi di cibo alla settimana, registrando un calo del 12% rispetto al 2021.
Tuttavia, il valore complessivo dello spreco rimane significativo: considerando l'intera filiera alimentare, dall'agricoltore al consumatore finale, includendo le perdite in campo e gli sprechi nell'industria e nella distribuzione del cibo, sono state scartate poco più di 4,2 milioni di tonnellate di cibo, equivalente a un valore di 9,3 miliardi di euro.
Il fondatore di Spreco Zero, l'agroeconomista Andrea Segrè, ordinario di Politica Agraria internazionale e comparata all’Università di Bologna, nonché fondatore di Last Minute Market, enfatizza che la vera prevenzione dello spreco inizia quando facciamo la spesa e che richiede un cambiamento culturale profondo e individuale.
In questa intervista Alessio Cicchini, conosciuto sui social come @rucoolaaa, ci darà una mano ad approfondire l’argomento, raccontandoci il suo stile di vita all’insegna del recupero alimentare e della valorizzazione degli scarti.
Alessio, raccontaci chi sei e cosa fai nella vita
Sono uno zero waste content creator: mi occupo di sensibilizzare la mia community social sugli sprechi alimentari e sull’utilizzo dei cosiddetti “scarti” alimentari degli ortaggi, cioè quelle parti che vengono erroneamente e automaticamente gettate pur essendo assolutamente commestibili.
Nei miei contenuti, dal taglio ironico e divertente, rendo queste parti le protagoniste di ricette o piccole pratiche agricole domestiche.
Mi occupo anche di fare divulgazione tenendo lezioni in scuole e università e partecipando a talk e festival in giro per l’Italia.
Parlaci di come ti sei avvicinato alla filosofia di vita anti-spreco e qual è stato il primo input
In realtà non c’è stato un momento in cui ho cambiato il mio modo di gestire il cibo: è sempre, con alti e bassi, stato così.
Ho pensato a lungo a come questa mia passione possa aver avuto origine: mi sono ricordato, durante la stesura del libro, di quando andavo a trovare papà (che era uno chef, oggi è in pensione) in cucina.
Mi accoglieva con piccoli pupazzetti sbilenchi fatti con gli avanzi della linea preparata al mattino per il ristorante: strambe bucce di limone con gli occhi, ciuffi di carota con le gambe e via dicendo.
Credo che sia stato quello il mio primo contatto con i più bistrattati in cucina, quelli che proprio nemmeno vengono considerati alimenti: gli scarti alimentari.
Come sei arrivato a sperimentare tu stesso in cucina con gli scarti alimentari?
Inizialmente l’interesse per la cucina e più in generale per l’economia domestica e l’utilizzo al 100% degli ortaggi è stato accantonato a favore dello studio (ho scelto un percorso accademico umanistico che non ha niente a che vedere con la cucina) e di altre passioni: grazie al fatto che, un po’ per caso, ho iniziato subito dopo la laurea in Lettere a lavorare come social media manager in un’agenzia di comunicazione a Milano specializzata nel mondo del cibo, ho riscoperto questo mio viscerale interesse.
Negli otto anni in cui ho lavorato lì il cibo è stato l’argomento principale delle mie giornate: da qui ho naturalmente recuperato la passione di cucinare, la sera, e di sperimentare, sviluppando allo stesso tempo le mie skills sulla comunicazione social.
A un certo punto ho deciso che avevo voglia di iniziare un progetto legato al cibo tutto mio, un “piccolo eden” nel quale non dover rispondere alle regole di nessun cliente: ho quindi iniziato a pubblicare ricette ma, dopo qualche tentativo non completamente riuscito, mi è venuto in mente di mostrare come faccio ricrescere la parte basale del porro in casa, cosa che facevo per diletto già dagli anni dell’università (oltre alla passione per la cucina adoro le piante, la botanica e amo fare esperimenti, ad esempio con le talee).
Come hai ideato il format che ora utilizzi?
Mi ha sorpreso l’interesse suscitato da quell’argomento, che a me sembrava già visto e quasi “noioso”: lì ho capito che c’era in realtà un grande bisogno di parlare di come utilizzare gli scarti (o i cooletti, come li chiamo io) e che ciò che a me sembrava assolutamente scontato non lo era per gli altri.
Così ho iniziato a parlare non solo di queste pratiche botaniche, ma anche di come includere gli scarti nelle ricette.
Ho scoperto una creatività e fantasia in cucina che erano rimaste sopite per anni, e così ho spontaneamente iniziato a parlare solo di quello.
In conclusione direi che galeotto fu il cooletto del porro!
Uno dei capisaldi del tuo canale è il regrowing: spiegaci in cosa consiste e prova a darci qualche consiglio per iniziare
Il regrowing consiste appunto nell’utilizzare parti di scarto di alcune tipologie di ortaggi, che normalmente finirebbero nel cestino, per creare dei veri e propri cloni dell’ortaggio madre.
La parte basale del porro è una delle più facili da utilizzare per fare questo esperimento: basta immergerla in pochi millimetri d’acqua e disporla in un ambiente luminoso, all’interno di casa, ma senza raggi diretti del sole, e dopo appena 5-6 giorni inizierà a ricrescere, dando origine in poche settimane a un nuovo porro che può essere consumato subito o interrato, per provare a farlo crescere ulteriormente.
Si può sperimentare con parte apicale della carota (in quel caso non ricrescerà la carota, ma il ciuffo), gambo del radicchio o dell’insalata, parte basale del sedano o della scarola… Gli ortaggi con cui divertirsi sono tanti.
Potremmo definirla una pratica di auto-produzione di città?
Di certo non si può pensare di cibarsi solo attraverso regrowing, ma credo molto nel valore simbolico che questo esercizio ha: osservare coi propri occhi quanto lentamente e con quanta fatica (ri)cresce un ortaggio mi ha aiutato a capire come, realmente, crescono gli ortaggi.
Siamo completamente distaccati dal modo in cui viene prodotto ciò che mangiamo ogni giorno e diamo sempre per scontato che tutto sia immediatamente disponibile.
Fare regrowing mi ha insegnato la pazienza, l’attesa, il rispetto del cibo.
Quando sei tu a far crescere qualcosa viene molto più difficile sprecarlo, e questo comportamento virtuoso diventa parte di te anche quando consumi qualcosa che non hai fatto crescere direttamente.
Porti un esempio di sostenibilità alimentare che sembra facile da attuare: come ci riesci nonostante i limiti della vita milanese?
Vivo in un monolocale di 27 metri quadrati in una casa di ringhiera, e come spazio esterno ho una porzione di ballatoio condiviso che i miei vicini attraversano per uscire di casa.
Ho insomma, pochissimi metri, anzi centimetri, per i miei esperimenti e per le mie pratiche di recupero alimentare.
Nei miei contenuti mostro spesso come in realtà, anche senza avere uno spazio esterno, si possano coltivare piccoli ortaggi in casa proprio grazie al regrowing, ma anche mettere a dimora talee o sperimentare con gli scarti.
Ad esempio, riesco comunque a far crescere aglio, cipolle, patate e zenzero (riguardo a questi ultimi due: mi auguro di riuscirci, dato che ci sto provando proprio in questo periodo). Basta utilizzare i giusti vasi e fare tutto in scala.
Riguardo alla spesa, invece, acquisto piccolissime quantità di frutta e verdura, che utilizzo all’osso e in tutte le loro parti, e ho sempre in dispensa alimenti primari come frutta secca, farine, legumi, semi oleosi, spezie, che permettono di tirare fuori un pasto anche quando sembra che il frigo pianga.
Più in generale, rispetto a vestiti e oggetti, la mia regola è molto semplice: one in, one out.
La sostenibilità alimentare viene spesso vista come un traguardo faticoso, invece tu ci dimostri il contrario: raccontaci il tuo segreto
È proprio così: non è difficile rendere più sostenibile e circolare la propria esistenza attraverso l’alimentazione.
Cerco sempre di mostrare in modo autentico ciò che faccio: non utilizzo volutamente, per esempio, grandi elettrodomestici come estrattori, centrifughe o essiccatori, che sono gli utensili “canonici” per chi fa cucina anti spreco.
Perché? Semplicemente perché non li ho e non ho spazio per tenerli in casa.
Proprio per questo propongo alla mia community ricette antispreco facili da realizzare, con strumenti di uso comune: perché in primis sono io a cucinare così quotidianamente.
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Più in generale, credo che la chiave per rendere semplice questo tipo di approccio alla vita sia, almeno all’inizio, rallentare: fermarsi a pensare prima di fare la spesa, in modo da acquistare ciò che serve; tenere a mente ciò che si ha già e, di conseguenza, abbinare mentalmente questo a quell’altro ingrediente; inventare un nuovo modo per usare quell’oggetto abbandonato in un cassetto, trovando uno scopo di utilizzo a tutto ciò che si possiede (scopo che non necessariamente deve corrispondere a ciò per cui quell’alimento o quell’oggetto è stato designato).
Il segreto, a mio avviso, è la lentezza: solo prendendosi del tempo si riesce a dar spazio alla creatività, a dar valore a tutto ciò che si possiede.
Una volta fatto questo shift mentale, che all’inizio può sembrare difficile, tutto diventerà progressivamente più semplice.