A cura della dr.ssa Martina Valizzone , psicologa e psicoterapeuta
A otto mesi dallo scoppio della pandemia, l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha voluto testare lo stato d'animo degli europei.
Secondo i sondaggi di Economist e YouGov, questa costante incertezza che ci accompagna dallo scoppio dell'emergenza sanitaria ha portato la popolazione - fino al 60% degli intervistati - a sperimentare quella che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha battezzato come «pandemic fatigue», una stanchezza globale come naturale reazione a una situazione che dura da molto e di cui non si vede la fine.
Alla luce delle nuove restrizioni e dell'aumento costante dei contagi abbiamo voluto intervistare la dr.ssa Martina Valizzone, psicologa, per capire - e dare contorni più definiti - alla cosiddetta pandemic fatigue, di cui, quasi tutti, abbiamo avuto esperienza.
In questi giorni, l'OMS sta ponendo sempre di più l'accento sulla pandemic fatigue, che definisce come «una risposta prevedibile e naturale a uno stato di crisi prolungata della salute pubblica». Ma come riconoscerla e come si concretizza nella vita del singolo individuo?
Possiamo definire la pandemic fatigue come una reazione psicofisica legata a un forte stress provocato da eventi eccezionali e di lunga durata.
Le manifestazione sono varie. Abbiamo infatti sintomi psichici, come stanchezza mentale, anergia e mancanza di motivazione e sintomi fisici riconducibili perlopiù allo stress.
Questa stanchezza cronica, insieme alla perdita di energia psichica e alla mancanza di una progettualità a breve e lungo termine, rende chi ne soffre privo di energie, incapace di agire.
C'è però un aspetto legato alla pandemic fatigue su cui è necessario porre l'attenzione, così come ha fatto in più occasioni (e non a caso) l'Organizzazione Mondiale della Sanità.
L'effetto più pericoloso che accompagna questa condizione è il senso di apatia che può contribuire a rendere chi ne è colpito insofferente alle regole e alle limitazioni utili a contenere e contrastare il diffondersi del virus, rischiando di rendere vane le campagne di sensibilizzazione e gli sforzi fatti fino a questo momento.
Quali sono le categorie maggiormente a rischio?
La stanchezza da pandemia può colpire chiunque, senza limiti di età e sesso.
Certo, alcuni soggetti sono più a rischio di altri. Tra tutti, ne sono un esempio gli operatori sanitari. Medici e infermieri, in prima linea nella lotta contro il Coronavirus, rischiano infatti di rimanere vittime di questo senso di stanchezza cronico, a causa dell’elevato stress lavorativo che vivono quotidianamente e che, ovviamente, va ad accumularsi a quello personale.
Un’altra categoria a rischio è quella delle persone che soffrono o hanno sofferto di ansia, depressione o altri disturbi della sfera emotiva. Questi soggetti sono infatti più vulnerabili di altri, in quanto lo stress prolungato nel tempo potrebbe peggiorarne le condizioni psichiche inasprendone i sintomi.
In ultimo, i giovani. Dopo una fase iniziale di ligia osservanza delle regole, a causa della pandemic fatigue, adolescenti e giovani adulti rischiano di ribellarsi e infrangere le norme, come modo per superare l’ansia e l’angoscia dettati dal particolare periodo storico.
C'è una dimensione collettiva e una dimensione individuale di questo stato d'animo?
Quando parliamo di fatica da pandemia ci riferiamo ad una condizione di sofferenza individuale che, seppur vissuta dal singolo, influenza ed è influenzata dal proprio sistema familiare, amicale e quello della comunità e società allargata.
Questi diversi sistemi oggi più che mai sono tra di loro interconnessi, in quanto le azioni del singolo individuo si ripercuotono a catena sugli altri sistemi, influenzandosi reciprocamente.
Quali sono gli strumenti che abbiamo per affrontare questo momento?
Come suggerisce l’OMS, gli strumenti di cui possiamo avvalerci a livello collettivo per far fronte a questa emergenza sono quelli che sono stati messi in campo dai vari Governi: le tanto discusse norme che ci permettono di continuare a vivere la nostra quotidianità riducendo il rischio di contagio.
Avere poche regole - e chiare - su come proteggersi e proteggere gli altri dal virus aiuta a diminuire il senso di impotenza che ognuno di noi avverte in questo momento, aumentando la possibilità che questi comportamenti vengano osservati.
A livello individuale è invece importante prendersi cura di sè, fare rete ma, soprattutto, chiedere aiuto quando ci si sente oppressi o si pensa di non potercela fare.
Spesso la socialità è il miglior antidoto contro ogni "male". E ora? Come sostituirla e come trovarla in modo differenti da quelli che conosciamo?
Abbiamo imparato nei mesi passati che la socialità può assumere forme diverse da quelle abituali.
Più che mai oggi abbiamo bisogno di sentirci uniti e vicini e, anche se non ci è possibile farlo fisicamente, i nuovi mezzi di comunicazione ci vengono in aiuto facendoci sentire meno soli e sempre connessi gli uni agli altri, seppur attraverso la mediazione di uno schermo.