Anche se non esiste ancora una cura per le malattie neurodegenerative come l’Alzheimer, i medici sono fiduciosi sul fatto che, in futuro, potremmo essere in grado di fermare lo sviluppo di questa patologia. Queste speranze si basano sullo studio di una proteina.
Nella più grande ricerca su questo argomento gli scienziati del King College di Londra hanno preso in esame, in dieci anni di studi, più di 100 coppie di gemelli. Durante questo periodo, hanno analizzato ben 1.129 proteine nel sangue dei soggetti, in cerca dei primi segni di deterioramento cognitivo lieve. Hanno scoperto che i livelli di una proteina specifica, MAPKAPK5, erano più bassi in quelli che mostrano segni di declino cognitivo.
“Anche se siamo ancora alla ricerca di un trattamento efficace per la malattia di Alzheimer, ciò che sappiamo è che la sua prevenzione è probabilmente più efficace da cercare piuttosto che reperire una cura quando questa si sia già manifestata“, ha detto il dottor Steven Kiddle, autore principale dello studio. “Il prossimo passo sarà quello di confermare o meno la nostra scoperta iniziale, circa lo studio sulle proteine, in quanto ciò potrebbe portare allo sviluppo di un esame del sangue affidabile, in grado di aiutare i medici ad identificare le persone adatte per studi di prevenzione“.
Lo studio
La ricerca, pubblicata sul Translational Psychiatry, è una delle poche ad aver esaminato il sangue di individui al fine di determinare se questo possa essere utile per indicare i primi segni di declino cognitivo o se un individuo ha probabilità di sviluppare il morbo di Alzheimer in futuro. La speranza è che questi risultati possano migliorare la progettazione degli studi sulla prevenzione del declino mentale.
L’uso, nel corso dello studio, di coppie di gemelli ha fatto sì che i ricercatori abbiano potuto escludere i fattori di genetica o età, come variabili per i risultati. I campioni di sangue dei partecipanti sono stati poi esaminati attraverso quello che viene chiamato un Somaschi, che permette di misurare simultaneamente grandi volumi di proteine. In aggiunta a questo, i ricercatori hanno valutato ogni persona con test di funzionalità cognitive.
“Siamo molto ottimisti sul fatto che la nostra ricerca abbia il potenziale per migliorare la vita di coloro che attualmente non hanno sintomi del morbo di Alzheimer, ma sono a rischio di sviluppare la malattia“, ha detto la dottoressa Claire Steves, co-autore dello studio .
I casi di morbo di Alzheimer sono destinati a triplicare entro il 2050, con ben 135 milioni di persone che si stima potranno essere colpite in tutto il mondo. Ma forse un nuovo esame del sangue potrà fornire alle persone una risposta immediata circa la possibilità di svilupparlo o meno. Un semplice test, fatto dal medico, dove si possa dire: “Avrò o no il morbo di Alzheimer?” è però ancora lontano, come ha dichiarato Kiddle alla BBC News.