La cannabis può peggiorare i sintomi del disturbo bipolare

Vincenzo Russo | Blogger

Ultimo aggiornamento – 02 Marzo, 2015

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Secondo una recentissima ricerca inglese, esiste un link diretto tra l’uso di marijuana in età adolescenziale e i comportamenti maniacali. Lo sostiene uno studio, pubblicato dal Journal of Affective Disorders, opera del dr. Steven Marwaha, della Warwick University di Coventry, UK.

Lo studio

La ricerca ha interessato circa 2.000 soggetti affetti, o che sono stati soggetti, a turbe maniacali. Secondo gli autori della ricerca, il legame tra l’uso di cannabis e i disturbi maniacali, soprattutto intesi come iperattività e disturbi del sonno, è molto importante ed è altrettanto significativo nei soggetti ai quali è stato diagnosticato il disturbo bipolare.

Questo studio, che non ha precedenti in quanto, come sottolineano gli autori, il problema clinico dell’associazione tra uso di cannabis ed episodi maniacali è stato sempre trascurato, dimostra invece che l’uso di cannabis, soprattutto assunta in età adoloscenziale, è uno dei fattori legati allo sviluppo del disturbo bipolare e si lega, fornendo una nuova evidenza, a quegli studi che indicano la cannabis responsabile dello sviluppo di patologie o di danni cerebrali.

Cosa è emerso

Secondo quanto pubblicato, la ricerca mette in evidenza che il legame si dimostra significativo in quanto l’uso di cannabis non è mai successivo ma precede l’origine del disturbo o, al massimo, coincide con l’evidenza clinica. In questo, dicono i ricercatori, lo studio è ampiamente supportato anche dall’analisi comparativa della vasta casistica esistente in materia.

Nei soggetti affetti da disturbo bipolare l’uso della cannabis peggiora, in modo severo, il quadro sintomatico e clinico, spingendo i disturbi maniacali fino al delirio di tipo schizofrenico.

Secondo il team di studiosi, sarebbero necessari ulteriori esami, sia per accertare il percorso clinico esistente nel legame tra uso di cannabis e sviluppo di episodi maniacali, che per verificare il possibile e concomitante impatto di altri fattori di rischio, come quelli ambientali o l’eventuale esistenza di una possibile vulnerabilità genetica.

 

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a cura di Dr.ssa Elisabetta Ciccolella
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